Manfred Moelgg scuote la testa e allarga le braccia nel ‘team hospitality’ dopo la prima manche. Ma non sta ripassando i punti cruciali della Planai, non è intento a memorizzare il tracciato. E’ stranito Manni, che considera Thali come un fratello: questa decisione lo ha segnato. Gli azzurri sono attorno al ‘nonno di Sarntal’. I giovani Tommaso Sala e Federico Liberatore lo guardano e ammiccano un sorriso. Jacques Theolier, ora tecnico degli svedesi, è il primo ad abbracciarlo. Poi ecco Stefano Gross. Compagni di squadra, poi tutti i ragazzi del circo bianco. Tanti sono i compagni di ventura, i guerrieri con cui ha lottato sulle nevi di tutto il pianeta. Un po’ come noi, che lo abbiamo seguito dappertutto. In Italia, in Europa, nelle Americhe. Olimpiadi (tre ossia Torino, Vancouver, Sochi), Mondiali (cinque e un settimo posto in Val d’Isere), Coppa del Mondo, Coppa Europa, Campionati Italiani. Ovunque. La prima volta con Thali: 28 marzo 2003 ai Campionati Italiani Assoluti di slalom al Passo del Tonale. Se scorgi la classifica, vedi il Thali di oggi e di ieri. Vinse Moelgg, davanti ad uno dei suoi amici di sempre in squadra azzurra, Hannes Paul Schmid. Terzo Giorgio Rocca, con cui ha percorso le trafile delle squadre azzurre. C’era anche Giancarlo Bergamelli, oggi suo allenatore. Poi Cristian Deville, con cui ha condiviso per anni le camere d’albergo di mezzo mondo. E c’era anche Daniele Simoncelli, oggi tecnico del team azzurro.
L’ultima volta con Thali proprio il malinconico giorno dell’addio, il 23 gennaio 2018 in Coppa del Mondo a Schladming. Quarant’anni, venti in Coppa del Mondo. Infinito, sempiterno, immortale. Anche se la carriera di Thali non è stata certo lineare, regolare. Alti e bassi, polvere e altare. Dentro e fuori squadra, avanti e indietro. Gioie e lacrime. Come quando è arrivato al parterre della Planai e ha cercato, inutilmente, di trattenerle. Gli occhi lucidi, le labbra tremanti, la faccia paonazza, il cuore a mille. E cento pensieri e ricordi di una carriera senza fine. I vent’anni di Thaler nello sci d’alto livello non saranno ricordati per trionfi eccelsi, ma per una volontà indomita di non mollare mai. Perché la storia non è fatta solo di vittorie, ma anche di favole che hanno un significato e indicano valori. Guerriero sempiterno, esempio per i più giovani, monito per il movimento dello sci italiano che esaspera e nausea i giovani atleti, senza capire che a vent’anni o sei Hirscher o Svindal (quindi impossibile) o non sei nessuno. Un movimento, il nostro, che aspetta poco, ma è stato obbligato ad aspettare Patrick Thaler, duro a morire e più volte risorto. Thaler dimostra che l’eta può essere solo uno stato mentale. La sua lezione, sempre attuale ma che il nostro mondo non percepisce, dice che non esistono i vecchi e giovani bensì esistono i campioni. In carriera tre podi in Coppa del Mondo, due nel tempio di Kitzbuehel e uno in Val d’Isere, ventotto top ten. Ecco i momenti migliori. Il più brutto? Diciannove anni fa, quando cadde in allenamento in Val Pusteria e sfiorò un albero e soprattutto si sfiorò una tragedia. In un altro tempio, che dello slalom lo è per antonomasia, ossia la Planai di Schladming, l’addio. La notte della Stiria non è stata solo la Night Race di Hirsher nel giorno delle 54 vittorie come Hermann Maier, ma anche l’ addio di Thali. Un po’ triste a dire la verità, come ci anche detto nel video. Patrick Luzzo Merlo, per tanti anni skiman e angelo custode, è vistosamente commosso.
Non è voluto mancare ai brindisi del dopo gara Simone Del Dio, ora con la squadra francese. Fra i tecnici che lo conoscono meglio Max Carca: con lui ha fatto tutto, da skiman a direttore tecnico. Ecco un’altra testimonianza di quanto è infinita la carriera del quarantenne altoatesino. E poi Luca Caselli, il fisioterapista ed osteopata, che lo ha seguito, curato, messo in piedi, fatto tornare a lottare, contribuito a scrivere questa favola. Ci mancherai Thali. Grazie per la tua favola.