Se qualcuno pensa che Sofia Goggia sia appagata per la quarta coppa di specialità, si sbaglia e alla grande. Non usa mezzi termini per spiegare quanta voglia abbia di continuare ad andar forte, vincere e battere i record. Meglio se in più discipline e non solo in discesa. «Io voglio vincere, ho fame di vittorie, la fame al tavolo e in pista non è mai mancata e ho voglia di prendere quei risultati che ancora non sono riuscita a ottenere». Ma intanto, stanca per la giornata, si gode questa coppa che conferma la sua superiorità in questa disciplina. La prima Coppa l’ha vinta con tre punti sull’amica Lindsey Vonn, nella stagione che definisce come «quella della consacrazione», ora ne ha oltre 200 di vantaggio quando manca una sola gara. «Ho dominato la stagione, vincendo cinque gare: risultati da leccarsi i baffi…».

La discesa di oggi non l’ha per nulla soddisfatta, ma è il giorno della coppa che non cancella però i Campionati Mondiali di Méribel. «Peccato per aver toppato quell’appuntamento – la delusione è stata forte e già prima delle gare iridate ero sulla via giusta per la conquista della coppa. Sono felice di averla vinta in modo schiacciante, un bel riconoscimento». Certo è che le stagioni facili a lei non piacciono, questa doveva essere “normale” invece è stata ancora una volta caratterizzata da cadute, interventi, riabilitazioni lampo per inseguire coppa, successi e medaglie. «A gennaio ho tribolato e la mano ha influito sulla costanza di rendimento così come sui miei programmi – racconta -. Ho dovuto cambiare assetto ed equilibri sugli sci, non è stata una stupidata impugnare i bastoni». La discesa è il suo pane, ha dimostrato una bella superiorità che lei definisce figlia di «alcune linee e letture della pendenza particolari e di alcune visioni. Mi rendo conto che molte ragazze fanno discesa ma non sanno cosa sia: devi capire dove investire, dove frenare o prendere la rampa migliore. Se mi chiedete come ho fatto a vincere in Corea (Giochi Olimpici, ndr) io vi dico che ho sfruttato la rampa per accelerare: dove ci sono i motori, bisogna riuscire a spingere».

L’arrivo di Luca Agazzi le ha sicuramente fatto bene, non spende tantissime parole, si limita a dire che «le persone giuste sono sempre un valore aggiunto» e apprezza il percorso tecnico intrapreso, che poi è stato interrotto per quell’infortunio alla mano di dicembre. «Il percorso ha iniziato a portare i suoi frutti, abbiamo cercato di avere una base tecnica più solida e a inizio stagione si è visto molto, ho sciato benissimo, con una bella forma fisica, poi la mano… – dice – Ho fatto anche poche gare e io ho bisogno di aprire più cancelletti, sono le gare a farti restare sul pezzo. Devo e voglio migliorare l’adattamento da una disciplina all’altra, non posso metterci giorni a farlo. Il voto? Alto in discesa, scarsino nel resto».
Perché delle tre specialità che voleva portare avanti quest’anno ne è rimasta una, la discesa appunto. Il gigante lo ha abbandonato (forse un po’ troppo…) il superG lo ha centellinato anche per via delle numerose cadute e di una condizione fisica a volte non ottimale. Ma gli obiettivi sono chiari: «Punto sulle tre specialità, in superG non ho raccolto nulla se non quei due miseri quinti posti, ma io sono una supergigantista forte e l’ho dimostrato in passato, senza però riuscire a farlo con continuità. È alla mia portata, non solo la gara singola, anche la coppetta». E poi c’è il gigante, che promette di riprendere a fare con costanza, partecipando già alle ultime due gare stagionali. La discesa? «Ce l’ho dentro». E nessuna riesce ad avvicinarla. Un po’ come la squadra italiana, che definisce «la più forte senza se e senza ma». Domani c’è il superG e l’Italia parte ancora per essere protagonista. E per difendere un altro pettorale rosso.