Ha girato il mondo in lungo e in largo, ha seguito i circuiti giovanili e diretto il Comitato regionale. Ora Matteo Guadagnini ha voluto allentare i suoi impegni o più che altro riporre i trolley in cantina e viaggiare un po’ meno. Così in primavera ha lasciato la direzione tecnica delle squadre di sci alpino di Fisi Trentino, si è goduto l’estate, prima che arrivasse la chiamata per tornare in pista, ma con un ruolo tutto nuovo, ovvero la gestione tecnica della Aloch di Pozza di Fassa.
Da dove nasce questa scelta?
«Ho fatto 45 anni con le borse in giro per casa, era arrivato il momento di mollare un po’ il tiro. Ho scelto di rallentare e prima di tutto ho trascorso un’estate bellissima, felice per aver fatto anche delle cose lasciate indietro in passato».
Aveva già avuto contatti con lo Ski Stadium?
«No, in realtà subito dopo ho atteso qualche proposta che è arrivata da più parti. E sono anche andato vicino a un nuovo incarico come allenatore. La passione è tanta ed ero interessato a rimanere nell’ambiente, ma con 1 persona lo avrei fatto volentieri perché tutto diventa più semplice, snello e piacevole, con più atleti sarebbe diventata un’altra squadra da gestire e allora niente».
E poi la telefonata di Buffaure Spa che si è aggiudicata la gestione della Aloch.
«Mi hanno proposto il ruolo di direttore tecnico e l’ho accettato molto volentieri, sono contento di aver iniziato questa nuova avventura vicino a casa, senza più borsoni da spostare. Arrivo dall’ambiente, conosco tutti gli allenatori, conosco lo stadio, l’ho vissuto da allenatore e so che cosa cercano i miei colleghi».
Ma qual è nello specifico il suo ruolo?
«Gestire i corridoio di allenamento, i turni di lavoro, l’assegnazione dei tracciati, un controllo generale dell’attività in pista».

Alla luce dei fatti accaduti di recente, sente il peso delle responsabilità?
«Un pendio come quello della Aloch è sempre stato ben attrezzato e dedicato all’agonismo, con una struttura importante. È chiaro che il momento è delicato e lo si percepisce dai club, dalle squadre e dagli allenatori. È necessario fare le cose nel miglior modo possibile. Ho appena concluso una riunione proprio con i dirigenti e i club per definire le regole e il modo di gestione».
Avete un regolamento?
«Sì, sette regole per accedere alla Aloch: firma della liberatoria, casco obbligatorio e utilizzo dei capi resistenti al taglio come da recenti normative, accesso in pista solo al personale autorizzato e qualificato, responsabilità di ogni gruppo, responsabilità dell’allenatore per ogni gruppo che entra in pista e comportamento generale».
Pronti ad aprire?
«Attendiamo le temperature. Pronti siamo pronti, abbiamo testato l’impianto di innevamento programmato e non appena arriverà il freddo partiremo con la produzione di neve. È che fino a metà novembre non si prevede tutto questo freddo, ma contiamo comunque di rispettare le date che ci eravamo prefissati. E quindi i primi di dicembre».

Come vengono gestiti gli allenamenti?
«Avremo a disposizione 3 turni al giorno, dalle 8 alle 10.50, dalle 11 alle 13.50 e dalle 14 alle 16.30, sapendo che l’ultima risalita della seggiovia è alle 16.15».
Non farà più l’allenatore. Che cosa le mancherà?
«La competizione e i ragazzi, quelle emozioni che provi quando ti trovi in mezzo a una gara, vedere all’opera i giovani e vivere tutto quello che ci sta attorno. Ma in qualche modo avrò l’occasione di tornare a respirare questo clima perché sulla Aloch sono in programma diversi appuntamenti di rilievo, come lo slalom di Coppa Europa, la tappa del Gran Premio Italia e la Baltic Cup».
È un tecnico di grande esperienza a tutti i livelli. Come vede lo sci italiano oggi?
«Inutile che lo dica, è sotto gli occhi di tutti. C’è stata una rincorsa al risultato immediato, quindi con poca formazione e tanta esasperazione in basso. Esasperazione della parte tecnica e quindi 40 giorni di ghiacciaio spesso anche per i più piccoli, senza curare la crescita e la costruzione dell’atleta. A 10 anni vanno sul barrato, in ghiacciaio, al Nord e a Ushuaia».

Che cosa significa?
«Che molti arrivano a 16 anni non sono vincenti e si stufano. Diventa tutto difficile anche a livello mentale e queste energie vengono a mancare anche ai piani più alti. Vedo gente annoiata, che non si diverte più e sul risultato finale questa è tanta roba, ha un peso importante».
Come vede il Gran Premio Italia?
«Un circuito che funziona abbastanza bene, negli anni è migliorato e ora si punta su gare di buona qualità, su piste tecniche e ben preparate. È positivo per i giovani che si mettono a confronto e con la barratura anche un ragazzo con il 30 può mettersi in mostra. È ben strutturato».
Parola di Guada, che rallenta, ma non lascia il suo mondo. Quello delle piste dove si studia ogni giorno su come andare veloce. E lui sarà ancora lì, sulla Aloch, crocevia anche di tanti campioni.




