Barbara Merlin: «Italia, hai un problema: la base è sempre più piccola»

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Una carriera da protagonista nello squadrone “rosa” degli anni ’90 forgiato dal compianto Pier Mario Calcamuggi (due podi in discesa in Coppa del Mondo e un 4° posto in superG ai Mondiali di Sierra Nevada 1996, oro fu Isolde Kostner, a soli 9 centesimi dal bronzo di Picabo-Street, poi campionessa olimpica a Nagano ’98), oggi, tra le altre cose, presidente dello Sci Club Sauze d’Oulx dal 2019 (succeduta a un certo Piero Gros). Barbara Merlin, torinese, classe ’72, ex commentatrice tecnica in RAI, conosce bene il movimento in sé e il mondo dei giovani o giovanissimi, e degli Sci Club. Con lei approfondiamo il discorso legato al fatto che il futuro dello sci alpino in Italia sembra quanto meno nebuloso, al netto di campioni (Paris) o campionesse (Bassino, Brignone, Curtoni, Goggia) fenomenali, ma che ovviamente non possono essere eterni: «Il nostro è un movimento che ha dei problemi serissimi. Innanzitutto di costi: far sciare un ragazzino delle categorie super baby, baby, cuccioli, su su fino agli allievi può costare 5.000 euro all’anno, ma solo se non si fa sci estivo. Sennò parliamo di 10-15.000 euro a stagione. Anche noi abbiamo dei ragazzini in Paese che non si possono permettere di sciare. Già solo così cominci a restringere la base. Il calo di numeri è notevole nelle ultime annate».

Poi esistono altre questioni che possiamo definire croniche: «Il problema è che sembra sempre di dover per forza creare dei campioni a 7-8 anni. Più avanti molti sono già stufi. Abbiamo un calo di abbandoni clamoroso nelle categorie ragazzi/allievi. E’ una questione non semplice da risolvere. A 14-15 anni iniziano a fare una scelta e spesso è una scelta che li porta lontani dallo sci. Probabilmente anche i genitori non hanno più voglia di fare i sacrifici di una volta e questo va capito. Nella nostra valle sono quasi tutti cittadini con seconde case e a un certo punto il cittadino sceglie la scuola. Io e mia sorella (Alessandra Merlin, detta “Pucci”, un podio in Coppa del Mondo, NdR) ci siamo trasferiti in montagna da Torino per studiare a Sestriere durante tutti gli anni delle superiori. E dallo Sci Club Sestriere siamo poi entrate in Nazionale. Quanti possono/vogliono permettersi di fare una scelta del genere, oggi? Dove è possibile abbattere i costi? E’ difficile rispondere, anche perché tutta la vita ha preso ad avere ormai un costo enorme e lo sci è solo un di più. E in città i ragazzini hanno molte più attrazioni a portata di mano: chi sceglie il tennis, chi la pallavolo, chi gioca a calcio. Il punto chiave è frenare gli abbandoni o il calo di iscritti tra i 13 e i 15 anni. Perché gli adolescenti vogliono fare altro: può essere un altro sport o semplicemente la scelta di stare con gli amici, andare in discoteca, condurre una vita diversa. La realtà è che la base si sta proprio restringendo. Dobbiamo prenderne atto e fare qualcosa».

Un gruppo dello Sci Club Lecco
Un gruppo dello Sci Club Lecco

Il discorso scivola poi su Lara Colturi, che Barbara ovviamente conosce molto bene: «Non c’è niente da fare: lo sci è uno sport individuale. Una come Lara ha, ma potrei dire forse ha sempre avuto a disposizione tutto quello che un’atleta necessita per andare forte, oltre a gente che lavora solo per lei. Tutto è incentrato su di lei, tutto è focalizzato su di lei, dal materiale all’aspetto tecnico, atletico, anche psicologico. Questa situazione ti dà grande serenità, quindi è difficile da cambiare. Perché dovrebbe farlo? Una come Lara non gareggia per qualificarsi gara dopo gara, per avere un posto, un pettorale. Gareggia serena, libera. Io ricordo bene certe situazioni iniziali, quando sei sotto esame gara dopo gara, ogni volta devi qualificarti per andare a Sölden, e poi ancora alla gara successiva, ecc ecc. Ci siamo passate tutte, lo so, ma questo fa bene alla crescita? Colturi ha sempre avuto un percorso chiaro tracciato davanti a sé grazie ai suoi genitori. La FISI ha fatto l’unica scelta che poteva fare qualche anno fa, mente Daniela Ceccarelli e Alessandro Colturi hanno deciso di continuare il loro percorso in parallelo. Le strade si sono divise in maniera anche abbastanza naturale, loro avevano il loro progetto sempre dichiarato, sempre pronto, portato avanti anno dopo anno. Dovevano fare una scelta estrema e l’hanno fatta. Su Giorgia Collomb dico che non si possono tirare la somme dopo una gara, per giunta sul Rettenbach. Ti aspetti un passo avanti, sì, magari che si qualifichi partendo con il 30, ma aspettiamo. La classe 2006 femminile in Italia è stata in qualche modo trainata da Lara Colturi, che ha fatto alzare il livello a tutte. Noi avevamo una ragazza brava, Ludovica Madiotto, anche lei 2006, come Collomb, come Righi, come Bettoni, poi purtroppo Ludovica si è fatta male al ginocchio per due anni consecutivi e ha mollato. Però è un peccato farlo a 19 anni anche se non è colpa di nessuno, per carità».

Giorgia Collomb e Sofia Goggia
Giorgia Collomb e Sofia Goggia ©Pentaphoto

Questione infortuni: «Discorso lungo e complicato. Si parla tanto di reti, airbag, caschi e ovviamente è corretto, ma per me resta un passaggio successivo. Quando io finisco nella rete il ginocchio me lo sono già rotto, è prima che devo capire cosa succede. Succede che ci sono troppe forze che agiscono sullo sci, con i materiali, le piastre, e forse anche i parastinchi, attuali. E probabilmente è lì che bisogna intervenire: per quanto un atleta possa essere “bionico” come Odermatt, i legamenti quelli sono; non si possono allenare o rinforzare più di tanto, puoi rinforzare solo quello che c’è intorno».

E le altre Nazioni? «Sicuramene norvegesi e nord americani vivono tutto con più leggerezza, qui da noi sei continuamente sotto osservazione. E poi secondo me non c’è tanto la cultura del sacrificio, in Italia. L’Italiano non è troppo sportivo, ma tifoso. Adesso giocano tutti a tennis, per esempio, chissà come mai. Quando i bambini hanno 7-8 anni ci sono i parterre di gara nello sci più pieni della Coppa del Mondo. Dopo però è diverso, si innesca un meccanismo sbagliato e invece è proprio nell’età adolescenziale, difficile, che devi stargli davvero dietro per tenerli sul pezzo. Lo dico anche da mamma. Lì è più facile avere un calo d’attenzione, anche perché magari hanno dato già moltissimo prima e alla fine scelgono di studiare, diventare maestri e lasciare l’agonismo. E alla fine la nostra base è sempre più piccola. In più se arrivano alla categoria aspiranti poi servono 25.000/30.000 euro all’anno tra gare FIS, Grand Prix ecc ecc., per andare avanti: quanti se lo possono permettere? Lì comincia la vera scrematura».

Mikaela Shiffrin con Paula Moltzan ©Agence Zoom

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