Un cittadino (più o meno, perché in realtà è nato e cresciuto a Castel De’ Britti, frazione collinare di San Lazzaro di Sàvena, a 7km da Bologna) che vince in città. Il 23 dicembre 1984 è una domenica. La giornata primaverile, l’organizzazione un po’ artigianale, ma il pubblico risponde presente. L’idea per l’epoca è quasi rivoluzionaria: portare nel capoluogo lombardo i campioni dello sci.
Il successo in quel Parallelo di Natale allestito sul Monte Stella, come lo chiamano i milanesi, zona San Siro, è stato celebrato e rievocato praticamente sempre parlando della carriera di Alberto Tomba. Fu importante, significativo, sicuramente lo fece conoscere per la prima volta al grande pubblico, anche se, va ricordato, all’epoca il bolognese era comunque già in squadra da due anni (iniziando dalla “C”) e si era, come dire, aiutato da solo tra Coppa Europa e il quarto posto in slalom ai Mondiali juniores di Sugarloaf, Stati Uniti, nel marzo del 1984, quando medaglia di bronzo fu un certo Finn Christian Jagge, norvegese, poi oro olimpico 1992 proprio davanti ad Alberto, e purtroppo scomparso l’8 luglio 2020.
Tomba quel giorno, il 23 dicembre 1984 appunto, ha appena compiuto 18 anni, i capelli corvini, riccetti e ben pettinati, una smorfia a mezza bocca, il collo taurino. Come tutti i colleghi della squadra “B”, dovrebbe fare solo da sparring partner ai talenti della prima squadra. In realtà bastano quattro turni per scrivere la prima pagina di una leggenda. Batte Holzer, De Chiesa, Edalini e Robert Erlacher, in finale. La Gazzetta dello Sport lo celebra il giorno seguente, ma omette il cognome nel titolo: «Grossa sorpresa alla ‘montagnetta’ di San Siro. Un azzurro della B beffa i grandi nel parallelo».
L’incipit di un’epopea scritto non in qualche celebre località alpina, ma a Milano, al Monte Stella. È qui, sulla Montagnetta di San Siro costruita coi detriti della Seconda Guerra Mondiale, che esattamente 40 anni fa si svolse quell’edizione del Parallelo di Natale, una sorta di galà dello sci, un’esibizione portata avanti poi per diversi anni in altri posti. Una competizione che non valeva per la Coppa del Mondo, ma che metteva in pista tutti gli azzurri più forti, anche al femminile, e alcuni tra i migliori sciatori internazionali. Neve artificiale, ottima cornice di pubblico, voglia di festeggiare, un’Italia maschile che stava vedendo sbocciare talenti quali Robert Erlacher, Richard Pramotton, Ivano Edalini, Michael Mair, Oswald Tötsch, in attesa del tornado, Alberto Tomba stesso, che di lì a tre anni sarebbe esploso fragorosamente macinando vittorie, emozioni, gloria. All’epoca, nessuno poteva prevederlo. Se non… il bolognese stesso!
Vent’anni più tardi Alberto avrebbe rievocato così quel giorno: «Grandi ricordi, questa è stata la prima vittoria importante. Quel giorno me la sentivo, era un periodo in cui vincevo le gare FIS e quelle di Coppa Europa. Di lì a poco sarei entrato in squadra A. Non avevo ancora la patente, giravo con i ragazzi, andavo in macchina con Pramotton e altri. Partecipai con il numero 9, lo stesso che poi avrei vestito nella mia ultima gara in carriera a Crans Montana».