Kimchi, hamburger o pizza in Corea?

Un modo per conoscere un paese? La sua cucina. E allora, cosa abbiamo fatto per saperne di più della Corea del Sud? Abbiamo cercato chi, italiano, ha aperto un ristorante a Seul. Giovanni Tamburrini ha aperto il suo Brera quasi per caso, arrivando in Corea per studio e lavoro. «Voleva essere una rivisitazione del classico ‘chiosco al mare’, poco formale e molto casual: è stato un successo e così è diventato un vero lavoro…».

Partiamo dal tuo ristorante, cosa apprezzano di più i sudcoreani della nostra cucina?
«Beh, come da tradizione pasta e pizza. Il piatto forte è aglio, olio e peperoncino: devono averlo visto in qualche nostro film e allora lo chiedono. Sono molto modaioli e quello che è italiano è cool. Poi pasta alle vongole, lasagne, pizza margherita. Amano molto anche la carne: hanno la loro versione della carne di Kobe giapponese, l’hanwoo, così chiedono spesso un filetto di manzo molto spesso».

Vino?
«Vanno molto sul sicuro: non hanno grandissime conoscenze, quando vedono un nome che hanno letto da qualche parte, come Chianti o Barolo, chiedono quello. Poi hanno una tradizione molto americana, quella del corkage fee e spesso si portano il vino da casa. Il vino in Corea non si produce, mentre ci sono un paio di birrifici artigianali, quasi tutti aperti e gestiti da americani, che fanno cose interessanti. Le birre più famose sono quelle della Magpie Brewing».

Il tuo rapporto con la cucina sudcoreana tra kimchi e bibimbap?
«Impegnativo, mettiamola così. Tante spezie, tantissimo aglio che metterebbero anche a colazione…. Tante zuppe. Alla fine di solito ripiego sul Korean Barbeque: si cuoce la carne su un fuoco a centro tavola, con riso, salse ed ‘erbette’ varie di condimento. Ma potrei mangiare così anche a Roma…
Ma non solo il solo. Lo vedo nel mio ristorante: gli italiani che vivono in Corea per lavoro, ma in generale gli europei, mi dicono sempre che dopo i primi due o tre giorni, dove c’è anche il piacere e la curiosità del nuovo cibo, non ce la fanno più».

Altre cucine?
«Ci sono molti ristoranti internazionali, ma soprattutto c’è una grande influenza americana, con tante catene a stelle e strisce. Dopo la guerra molti coreani andarono negli States e quando sono tornati hanno portato in patria le usanze americane e anche quelle messicane, visto che la maggior parte si trasferì nella zona di Los Angeles. Gli hamburger che mangio in Corea non li trovo in Italia… Ma Seul è una cosa, il resto del paese un’altra: solo la capitale è molto internazionale».

Ma quanto costa?
«Il costo della vita è simile al nostro; certo se vuoi vivere all’europea in Corea, comprare la mozzarella o viaggiare su un’auto tedesca per esempio, devi guadagnare molto. Nel nostro ristorante puoi spendere intorno a 30, 35 euro, ma il prezzo della nostra pizza è molto più basso di quello che vedo in Italia».

Come sono i sudcoreani?
«Molto socievoli, anche se non hanno la tradizione di invitarti a casa: la classica cena tra da amici si fa al ristorante. E poi tanto emotivi, spesso si paragonano ai noi italiani».

E poi ordinati come i giapponesi.
«Non direi: educati, precisi, ordinati sì, ma non come il giapponese. Diciamo che il Giappone è il loro riferimento, il loro trend, ma poi vanno per loro strada, spesso e volentieri imitandoli. Lo vedete anche voi in Italia: le innovazioni nelle auto, nell’elettronica o nei televisori, per esempio, le fanno i giapponesi, poi alla fine comprate i prodotti sudcoreani».

Adesso arrivano le Olimpiadi invernali, com’è l’ambiente?
«Sono appassionati di ghiaccio, mentre lo sci è ancora una nicchia. Io sono uno sportivo e mi piace anche andare a sciare: la stazione più vicina a Seul è una riproduzione di un villaggio svizzero, ma alla fine ci sono due piste e basta. Con i Giochi uno degli obiettivi è anche quello di promuovere gli sport della neve nel paese».

Allora ci vediamo a Seul.
«Certo, se volete venirmi a trovare al Brera (brera.kr) a Seul, presentatevi o dite allo staff che vi manda Race e vi faccio lo sconto!».

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