Stefano Dalmasso tra i problemi dello slalom, l’illusione nei Children e i Giochi che verranno

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Di allenatori esperti ne trovi quanti ne vuoi. Di vincenti meno. Molto meno. Stefano Dalmasso, per tutti Steu, è un coach navigato e sopratutto vincente per davvero. Qualche numero. Settantatre podi fra Coppa del Mondo e medaglie. Fra queste ultime, quelle iridate di Amiez, Magoni e Zini. Poi quelle olimpiche: oro in slalom con Paoletta Magoni a Sarajevo 1984 e la doppietta Jean Pier Vidal e Sebastien Amiez a Salt Lake City 2002 sempre fra i pali stretti.

Steu è un tipo umile, uno di poche parole, moderato. Che visto il palmares in questione viene da pensare anche troppo moderato, visto che oggi in tanti parlano a sproposito senza aver vissuto un centesimo delle sue esperienze professionali. Settantasette primavere da Limone Piemonte, Dalmasso sta attento alle parole, al suo significato, non vuole mettere pressione anche quando i temi in questione sono davvero scottanti come la situazione dello slalom femminile italiano.

«È vero, noi allenatori dobbiamo confrontarci con quello che ci capita – dice – A volte hai un fenomeno, ma altre volte, anzi spesso, no. Certamente non si può giudicare solo le atlete che si sono susseguite in questi anni nel settore slalom, bisogna mettere l’accento anche su un problema tecnico che c’è e persiste. Va bene i materiali, va bene la nostra scuola poco propensa alla scorrevolezza, anche se questo è più un problema della velocità, ma nello slalom e nelle discipline tecniche in generale c’è un problema di impostazione tecnica significativa».

E nel settore maschile? «Va un pò meglio, ma la situazione non ci vede fra i protagonisti nell’avvicinamento alle Olimpiadi di casa – aggiunge il navigato coach – Poi mi aspetto che le prime gare mi diano torto: io sono un tifoso delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi». Non solo un tifoso, un appassionato pazzesco. Non demorde Steu, ancora in pista nella sua Limone così come sui ghiacciai d’estate.

Le Olimpiadi, si, un grande sogno. E lui da allenatore lo ha coronato eccome. Ai piedi del podio, ma forse ancora di più quando fu ospitato e poi premiato a Parigi da Jacques Chirac, già premier francese. «Sono un’occasione unica di vetrina, sarebbe davvero splendido vedere i nostri sul podio – racconta – Non partiamo fra i favoriti, solo Sofia Goggia sembra quella in grado di fare bene con sicurezza. Staremo a vedere».

L’esperto limonese parla anche di sci giovanile. Si sofferma sulle squadre nazionali C. E continua: «Nel giro azzurro giovanile ci sono troppi atleti. Meglio selezionarne meno e seguire un progetto con maggiore continuità, con più tempo. Rischiamo di disperdere talenti ed energie altrimenti».

Quei giovani che vengono dagli sci club, il mondo che oggi il piemontese vive in prima persona con lo Ski College Limone: «Abbiamo atleti in tutte le categorie, dai più piccoli ai Giovani. Questa è una cosa positiva, ci sono differenti modi però di approccio alle gare. Non conta a che età farle, ma quanta importanza si dà a queste ultime. Lo sci vero ha inizio nei Giovani, nel mondo FIS. Dal primo anno capisci chi può valere davvero qualche risultato. Prima non ci sono i riferimenti e non si ha un quadro preciso. Per questo, preferisco vedere le gare della categoria Giovani, prima è inopportuno dare un giudizio su questo o quello. Questo non vuol dire che non bisogna allenarsi fin da piccoli con serietà, ma nemmeno dare valore assoluto ai risultati dei piccoli».

Parola di uno che ha allenato al top. E vinto al top.

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