Grande tecnico e grande uomo, con una lunga militanza anche nella squadra di Coppa del Mondo azzurra femminile. Marco Viale, piemontese, classe ’78, ha lavorato in passato con atlete e atleti delle squadre nazionali di Argentina, Cile, Spagna e, appunto, Italia. In particolare, con le azzurre è stato impegnato fino ai Giochi di Pyeongchang 2018, Olimpiadi in cui la medaglia d’oro in discesa venne conquistata naturalmente da Sofia Goggia, allenata anche da lui. Attualmente responsabile del gruppo discipline veloci della Francia donne (Miradoli e compagne; anche Clara Direz, che punterà molto sul superG oltre che sul gigante), ci risponde direttamente dal Cile. Con lui analizziamo tre tematiche toccate pure da Urs Lehmann nella sua intervista da nuovo CEO della FIS. Tema sicurezza, ovviamente molto delicato attualmente, poi sostenibilità ed eventuali novità da inserire in Coppa del Mondo.
SOSTENIBILITA’
«Matteo Franzoso viene dal mio paese, pensate voi come possa sentirmi attualmente. Sono vicino con il cuore anche a tutte le persone presenti sul posto in quei giorni drammatici. C’è sicuramente ancora tanto da fare per la sicurezza, anche se passi in avanti sono arrivati e in molti ambiti sportivi. Nello sci alpino credo che non ci si debba focalizzare solo sulle discipline veloci, perché i rischi e gli incidenti esistono in tutte le specialità, oggi. Per noi allenatori è sempre una responsabilità gigantesca, da quando guidiamo un pullmino con sopra degli atleti, fino ai campi gara. Oggi certo mi occupo di agonisti che hanno un’età più avanzata, ma immagino i colleghi che sono a stretto contatto tutti i giorni con gli adolescenti. Sono responsabilità enormi, credetemi.
Sulla velocità: serve una presa di coscienza sul fatto che ridurre il rischio vuole dire anche poter permettere ai ragazzi di fare velocità, come per chi impara ad andare in bici: non impara certo andando giù subito da una pista di downhill. Tutti gli step devono essere fatti, i giovani sciatori devono avere la possibilità di prendere fiducia e conoscenza di come vadano utilizzati i materiali, tra discesa e superG. Agire quindi non è facile, bisogna farlo ad ampio raggio.

In alcuni ambiti forse bisogna essere più decisi. La FIS da un lato mette delle regole, come era stato per l’utilizzo obbligatorio dell’airbag (che non è stato capito da alcuni atleti), per poi fare dei passi indietro con delle proroghe. Non è così scontato muoversi ed essere subito efficaci. Esempio. Si parla di piste ad altissima sicurezza come quella di Copper Mountain ed è vero, ma proprio lì 3 anni fa Adrien Théaux è incappato in un incidente rovinoso e per miracolo non ha urtato un albero. Ed è una delle piste più sicure in assoluto, senza dubbio. Per agire ulteriormente sulla sicurezza bisogna pensare bene al dà farsi, creare dei tavoli di pensiero e lavoro, andare a toccare tantissimi argomenti. Sicuramente si può partire dalla riduzione della velocità che può essere un fattore d’aiuto, ma anche quello non è semplice. Per ridurre la velocità non basta mettere più curve: mettendo più curve con i materiali di oggi andresti a generare ancora più pressioni e tensioni. Io posso solo dire che ogni mattina quando siamo in pista sentiamo tutti un enorme senso di responsabilità che va oltre la ricerca della performance. A me personalmente, come ricordo sempre alle ragazze francesi, la cosa che preme di più è poter passare del tempo di qualità nelle sedute di allenamento e a volte anche dire “oggi non possiamo allenarci perché non ci sono delle condizioni che ci permettono di fare quello che dobbiamo fare”. E sono sicuro che tutti i colleghi che hanno vissuto da vicino queste enormi tragedie la pensano come me. Sembra scontato, ma il poter prevedere ogni cosa purtroppo è impensabile. Non credo che sia una cosa così immediata e semplice lavorare sulla sicurezza. Certamente si possono prendere delle decisioni ferme: rendere obbligatorio l’uso di alcuni sistemi di sicurezza senza dare possibilità all’atleta di decidere se usarlo o meno, quale tute anti taglio ed airbag, da inserire anche nei circuiti FIS. Ecco questo già sarebbe un primo passo fondamentale per andare avanti in maniera più sicura. Oltre a proteggere con sistemi di sicurezza stile Coppa del Mondo più piste, per uso delle squadre top, ok, ma anche piste per i più giovani».

SOSTENIBILITA’
«Può essere interpretato con due chiavi di lettura. Sostenibilità ambientale o legata agli spostamenti. Noi ci ritroviamo a volte a fare gli spostamenti con dei calendari tremendi, dove le atlete sono in volo, ma tutto lo staff che le accompagna si ritrova a passare, per esempio, dal sud al nord Europa, dopo giornate intensissime di lavoro sulla neve o in skiroom, per poi guidare per tantissimi chilometri. Bisogna capire qual è la chiave di lettura: ambientale o logistica, distribuendo in maniera magari anche più lunga la stagione, ma con gare spalmate su più mesi».
GARE IN ARGENTINA O NUOVA ZELANDA
«Si lega al tema precedente. Sul gareggiare nell’altro emisfero bisognerebbe capire in che direzione vuole andare la Coppa del Mondo. Già attualmente la stagione è molto intensa, gli atleti sono esposti a condizioni climatiche, atmosferiche, di tensione e stress (anche per gli spostamenti larghissimi), notevoli. Credo che 3 mesi di stagione siano già sufficientemente carichi a livello di fatica. Se l’idea però è, come detto, distribuire la stagione spalmandola su più mesi, allora la trovo anche interessante: in fondo siamo l’unico sport in cui ci si allena per otto mesi, ma si gareggia per tre o poco più».





