Il dicembre ‘bestiale’ dei discesisti azzurri

Fine anno ‘bestiale’ per la squadra azzurra discipline veloci. Già, proprio quel gruppo che alla fine dell’inverno scorso tutti coccolavamo come un fiore all’occhiello, quello delle medaglie di Garmisch, è entrato improvvisamente in crisi di identità. La cosa che sorprende maggiormente è vedere in faccia i ragazzi: sono più perplessi che arrabbiati. Il risultato non arriva, passano le gare, si sprecano le occasioni e cresce la tensione.

PETER FILL INCREDULO –
«Non so spiegarmi come posso aver preso un distacco del genere nella parte alta» è stato il commento di Peter Fill ieri al traguardo. Serio, posato come suo solito, ma gli si leggeva in volto un fuoco interiore. Il ragazzo sta bene, scia bene. L’analisi della gara parla chiaro: nell’ultimo segmento di pista, quello taglia-gambe sulla Stelvio, Peter è stato secondo solo a Kueng e ha recuperato 22 centesimi a Defago. Solo un atleta in condizione può fare una performance simile a Bormio. Ma un atleta in forma non può ‘beccare’ un secondo dopo i primi 32 di gara, a meno di errori gravi, che Peter non ha commesso. «Una volta è la pista piatta, l’altra volta è la neve molle, intanto i forti sono sempre là davanti. Magari perdono tre o quattro posizioni, ma sono sempre lì» si lascia poi scappare con un po’ di rabbia. Sul morbido proprio non andiamo avanti. Si nota ancora dalle analisi di Fill: dalla Piana di san Pietro in giù è da podio, ovvero nell’unico pezzo di pista, se non ghiacciato, molto duro. In alto invece accumula ritardo in ogni passaggio senza spiegazione. Dove vuole portare questa analisi? Da nessuna parte in particolare, è proprio qui che si aprono infiniti percorsi, ognuno con una sua logica. Le parole di Matteo Marsaglia possono aiutare. «Ho fatto due giorni di discesa libera dall’inizio della preparazione. Ho saltato qualche giorno per problemi di salute, ma i miei compagni non hanno fatto molto di più». Una chiave di lettura? Ok, poco allenamento puro di discesa libera. Svindal mi ha detto il giorno delle prove che pensava di aver svolto un buon lavoro nelle discipline veloci, tra Norvegia in tarda primavera, Nuova Zelanda e Cile, variando le situazioni i pendii e i tipi di neve. Ok, i norvegesi sono ‘quattro gatti’ e hanno alle spalle soldi e una federazione seria. Però questa è forse la condizione ideale per andare forte al giorno d’oggi. Tempo fa, discutendo con Ravetto sull’estrema specializzazione dei nostri atleti, mi disse che negli anni di grave ristrettezza economica della nostra federazione (gestione Coppi, per intenderci), si fu costretti a scegliere tra andare forte in qualche condizione e solo in quella, oppure in nessuna. Si optò per il ghiaccio e il ripido, più facili da trovare e da gestire. Forse oggi paghiamo ancora quella situazione? Fanta-sci? Non lo so, è certo che anche il lavoro dei Comitati finì per adeguarsi ai parametri richiesti al vertice per emergere e da lì vengono i giovani che ora si stanno affacciando in Coppa. Poi c’è la questione delle tute da gara, in cui il nuovo fornitore sta pagando lo scotto del noviziato e si fa fatica a stare al passo con gli avversari ai massimi livelli. Tanti, troppi problemi tutti insieme.

INNERHOFER, UN PUGILE SUONATO –
C’è poi una situazione che va oltre l’aspetto tecnico: Christof Innerhofer non sta più in piedi. Ha subito un grave trauma cranico a Stubai, una caduta che poteva avere conseguenze ben peggiori. È stato portato in Canada, poi in Colorado. Ore di voli aerei trans-oceanici, spostamenti, prove, gare. E lui continuava a cadere, a sbattere da tutte le parti. È la gestione di un campione del mondo questa? Quando Mirko Vucinic ha avvertito un dolorino alla coscia, la Juventus l’ha fermato tutto dicembre. Hanno comunicato che si sarebbe rivisto in campo a gennaio, dopo la sosta natalizia. Il giocatore di calcio è una risorsa profumatamente pagata dalle società e come tale preservato al meglio. Innerhofer doveva riposare, curarsi riprendere gradualmente ad allenarsi ed essere pronto per le classiche di gennaio. Ora sembra un pugile suonato, ha perso cinque chili di peso e si trova a gestire una situazione di crisi di cui non ha nessuna colpa. Come se non bastasse è stato portato in partenza a Bormio non solo conciato così, ma con in più 39 di febbre. Ok, gli atleti partirebbero anche con una gamba sola, però ha senso? Soprattutto quando parliamo di un fuoriclasse come Christof. C’è un medico che sa imporre il proprio punto di vista?

LA CRISI DI WERNER HEEL –
E Werner Heel? Un ufo, non si riesce nemmeno più a parlargli insieme. Un ragazzo in crisi di identità, in un tunnel sempre più profondo. Solo due anni fa era uno dei più forti del mondo, probabilmente lo è ancora, ma nemmeno lui sa più di esserlo. Qui ci sono le attenuanti del cambio materiali: una scelta vantaggiosa in termini professionali, ma ‘suicida’ dal punto di vista tecnico. Lui non lo dirà mai, è un professionista serio, ma con questa mossa si è giocato due anni chiave della carriera. Ma il supporto psicologico necessario a questi livelli? Un campione va gestito con il bilancino, il suo equilibrio si gioca sugli umori e sulle sensazioni. Da fuori questo non si percepisce, sembra quasi che gli vengano sbattute in faccia le responsabilità del momento negativo. Dominik Paris l’ha messa sullo scherzo dicendo che con qualche birra a Capodanno e un po’ di riposo tutto si sistemerà. Il coach Rulfi ha parlato di allenamenti specifici sulle nevi morbide di questo strano inizio di stagione in vista delle classiche di gennaio. Basterà? Non ci è dato di saperlo. Di sicuro nello sci tutto si può rivoltare da un momento all’altro. Basti vedere Max Blardone: nessuno avrebbe scommesso un centesimo bucato su di lui, invece ha dominato il gigante sulla Gran Risa ‘bastonando’ sonoramente gli avversari. Appuntamento sulla Streif di Kitzbuehel, un bel banco di prova per testare la reazione della squadra azzurra.

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