Ha sempre avuto quella faccia un po’ scavata, vuoi in pista nelle albe al gelo in Coppa del Mondo, vuoi quando indaffarato saltava da una parte all’altra di Pila con il suo pick up a far manutenzione ad alberghi e appartamenti. Ha sempre avuto quella bocca mezza storta con quel sorriso costantemente disegnato. Aveva. Perché se ne è andato in fretta e furia Roberto Fiabane, valdostano di Gressan, dal momento che il male bastardo ha colpito ancora. Robi non era un leader carismatico, piuttosto un uomo da spogliatoio, da gruppo, uno che unisce. Un modo di essere che stava a pennello in quello squadrone della discesa azzurra che ha allenato, ha visto crescere e poi primeggiare.
FILL E RULFI – «Era uno dei nostri primi tifosi, un coach che ci teneva uniti oltre che un professionista valido- ci fa sapere il capitano degli azzurri Peter Fil -, era la felicità in persona, sempre disponibile». L’ultima volta lo avevo incontrato al Memorial Fosson lo scorso dicembre. Ero salito in macchina. Dentro ferri del mestiere e un paio di giacche da sci spiegazzate e impolverate tirate dietro. «Mi manca il circo bianco, ma per ragioni di lavoro devo rimanere a casa…», mi diceva (suo fratello era mancato a causa di un incidente sugli sci- n.d.r.). Anni gloriosi con la Francia allenata dal suo amico Mauro Cornaz e con cui ha vinto l’oro olimpico a Torino 2006 in discesa con Antoine Deneriaz. E poi l’Italia guidata da Rulfi. «Ci ha lasciati un entusiasta per definizione, non solo per il lavoro ma anche per la vita in generale – ci dice Gianluca Rulfi -, lo chiamavamo ‘il maestro’, il maestro di sci di una volta, con la divisa sfavillante e la fascetta di sci ordinata e sempre in testa…Roberto era sempre solare, una parola di incoraggiamento per tutti».