Abbiamo incontrato Riccardo Zanoni di SRS (Ski Racing Suppliers assocation), l’associazione internazionale delle aziende fornitrici che operano nel ‘Circo bianco’. Svizzero di Crans Montana, è lui che qui a Vancouver fornisce ai service di tutto il mondo accrediti e pass: una figura molto importante soprattutto ai Giochi Olimpici, visto le moltitudini di restrizioni e l’obbligo di esibire permessi in ogni location. Ieri nelle ‘cabine’ degli skiman c’era una vera e propria processione: Zanoni è anche quello che cerca di trovare una soluzione logistica nell’immediato, ed è quello che ricorda sempre agli addetti ai materiali obblighi e regolamenti, un ruolo importante per quel che riguarda le aziende ad un Olimpiade sono gli spazi pubblicitari su tute, protezioni e qualsivoglia accessorio degli atleti. La regola olimpica parla chiaro: chi sgarra paga, e a pagare sono gli atleti, in termini di squalifica ovviamente. I marchi aziendali sulla fornitura sono limitati nelle dimensioni: sei centimetri quadrati per i marchi su guanti, occhiali, maschere, protezioni, cappellini, fascette, invece quindici centimetri quadrati per il casco e venti per tute da gara e giacche. Tuttavia nei regolamenti non si parla di centimetri quadrati della superficie del simbolo, ma invece del quadrato che delimita i punti estremi della figura. E poi la pubblicità. Le aziende non possono fare pubblicità con i loro atleti rappresentativi non solo durante il periodo olimpico, ma anche cinque giorni prima della cerimonia di inaugurazione e tre giorni dopo. Ed anche i responsabili dei service devono rispettare queste regole: vengono controllati tutti minuziosamente al loro ingresso nel parterre. Abbiamo chiesto a Marco Pastore di Dainese cosa ne pensa: “Ritengo si tratti di un regolamento antiquato. Le aziende investono già tanto per gli atleti ed è assurdo limitarne la visibilità ad un evento importante quale è l’olimpiade. Non solo, gli stessi atleti non possono comunicare nulla a nessuno. Mi pare eccessivo e controproducente per tutti. Penso di non essere l’unico a ritenere il dilettantismo inesistente nello sci di alto livello”.