Quanti infortuni nello sci. Sembra incredibile, ma non passa una settimana senza che si aggiunga qualche nome, anche illustre, alla lunga lista di coloro che sono costretti a fermarsi. A Garmisch è stato un vero e proprio disastro. Steven Nyman termina la stagione anzitempo e si teme lo stesso per Guillermo Fayed. Valentin Giraud Moine rischia addirittura la fine della sua giovane e promettente carriera. Se prendiamo in considerazione gli ultimi mesi e solo la Coppa del Mondo, abbiamo un elenco di fatto sufficiente a riempire un piccolo ospedale.
UN ELENCO PAZZESCO – Tra gli stranieri, ricordiamo Aksel Lund Svindal, Ted Ligety, Marcus Sandell, Thomas Fanara, Thomas Mermillod Blondin, Jens Byggmark, Sandro Viletta, Marc Gisin, Fritz Dopfer, Benedikt Staubitzer, Klaus Brandner, Georg Streitberger, Patrick Schweiger, Steven Nyman, Valentin Giraud Moine, Guillermo Fayed, Cornelia Huetter, Eva-Maria Brem, Carmen Thalmann, Nina Ortlieb, Taina Barioz, Lotte Sejersted e Maria Pietilae-Holmner.In casa Italia, Matteo Marsaglia, Giovanni Borsotti, Nadia Fanchini, Karoline Pichler, Christof Innerhofer e Patrick Thaler, con gli ultimi due al lavoro per un recupero in extremis per i Mondiali di Sankt Moritz. A questi, si aggiungono purtroppo decine di nomi tra le squadre e circuiti minori. Lo sci è da sempre considerato uno sport rischioso e ovviamente gli infortuni ci sono sempre stati. Ma come possiamo valutare questa triste situazione degli ultimi anni?
I MATERIALI – L’evoluzione più recente possiamo paragonarla alla Formula 1. In passato, la macchina perdonava molto di più, adesso è praticamente perfetta, stabile, potente e precisa. Lo stesso vale per gli sci e scarponi. I materiali utilizzati sono sempre più pregiati, o comunque amalgamati in modo migliore. Sci e scarponi hanno caratteristiche di stabilità, risposta elastica e spesso durezza che solo dieci anni fa erano inimmaginabili. Ciò si traduce in trasmissione della presa di spigolo molto più precisa e diretta, su ogni tipo di terreno, dove lo sci rimane incollato alla neve o ghiaccio che sia, segnando veri e propri binari. Uscire involontariamente da tali tracce può portare a conseguenze disastrose. Le sciancrature sono state più volte discusse, soprattutto in gigante, dove sappiamo bene quanto i 35 mt di raggio per gli uomini non siano stati la trovata più brillante della FIS. Certo, in gigante abbiamo registrato parecchi infortuni e soprattutto nessuno ha dimostrato con dati alla mano una diminuzione degli incidenti. Ma anche nelle altre discipline e nel settore femminile, non ci sono segnali confortanti. Gli sci sono anche più pesanti rispetto al passato e pertanto più difficili da manovrare in situazioni limite o di errore.
LE PISTE – Ad alto livello si gareggia sempre più spesso su piste barrate. Ciò significa che sotto i piedi abbiamo il marmo, non più un bel manto nevoso, sufficientemente morbido per attutire almeno in parte le vibrazioni. Queste vengono inevitabilmente trasmesse e assorbite dal corpo, in particolare dalle articolazioni e dalla schiena. Se da un lato le piste di gara sono spesso un bigliardo, dall’altro si parla sempre meno di neve compatta, sempre più di ghiaccio vivo. Guardando le gare in televisione non ci si rende conto, ma per chiunque abbia avuto il “piacere” di scendere su una pista iniettata ad acqua, è chiara la differenza.
IL FISICO – Materiali e piste hanno inevitabilmente costretto gli atleti ad adeguare la loro preparazione, non solo sugli sci, ma anche a secco. Serve tanta forza per gestire i materiali di oggi e per poterne sfruttare la risposta elastica. Si parla sempre più spesso di sciare in spinta e per farlo, non basta la centralità ed equilibrio, serve anche parecchia forza. Quando tutto funziona al meglio, si creano velocità elevate e per controllarle, i tracciati di oggi sono più angolati, c’è più curva, in tutte le discipline. Di conseguenza, intervengono forze fisiche maggiori, gestibili dagli atleti solo se ben preparati in termini di forza. Il tutto va sempre più in direzione dell’estremo e forse, anche per questo è il corpo che a volte non ce la fa più e cede. Assistiamo infatti ad infortuni che non sempre sono conseguenza di cadute rovinose, ma semplicemente di un cedimento di una parte del fisico.
Il BUON SENSO – Spesso il business supera il buon senso. L’esempio più eclatante è la discesa di Kitzbuehel dello scorso anno. Condizioni proibitive sul Hausbergkannte, ma spettacolo da confermare per gli sponsor, televisioni e pubblico. Cadute da brivido e infortuni sono stati l’amara conseguenza. A fronte di tutto ciò servirebbero valutazioni molto più approfondite e soprattutto qualificate che consentano di intervenire in maniera efficace in tema infortuni. La soluzione non è certo dietro all’angolo e la materia è molto complicata. Di certo, come punto di partenza, sarebbe molto interessante che tutti potessero accedere ad una pubblicazione ufficiale, completa e aggiornata sul numero e casistica dettagliata degli infortuni degli ultimi 20 anni almeno. Ma la domanda sorge spontanea: esiste uno studio attendibile di questo genere?