Sci italiano e mondiale, quale futuro? Le idee di Marsaglia, Merighetti e Alfieri

Tempo di bilanci dopo il Mondiale di sci alpino n.48 della storia, in chiave italiana e non solo, ma tempo anche di guardare al futuro. Ne abbiamo parlato in un piccolo forum con tre ex atlete oggi tutte impegnate in quello che è sempre stato il loro mondo, come talent per Eurosport/Discovery+, ma non solo. E’ la prima puntata di una breve inchiesta che poi declineremo anche al maschile, con interlocutori diversi. Tre domande e tre risposte da ciascun atleta.

1 – Serve un progetto per il futuro dello sci alpino italiano, guardando anche a modelli diversi, come quello norvegese, dove per esempio fino a 14 anni lo sci alpino è soprattutto divertimento e campo libero, meno stress, meno gare e meno pali? Se sì, quali i punti cardini del progetto?

Daniela Merighetti: «Dal mio punto di vista i ragazzi prima dei 14 anni dovrebbero “costruirsi” facendo non solo sci, ma sviluppando capacità motorie diverse allenandosi, o meglio, praticando il maggior numero possibile di sport, preferendo la ginnastica artistica e il corpo libero. Perché nello sci servono tante e diverse qualità motorie, oltre alla tecnica. Uno sciatore, per essere completo, deve essere: forte, rapido e veloce, resistente, mobile e soprattutto coordinato. Queste qualità motorie dovrebbero essere allenate principalmente all’aria aperta e in palestra. E in generale secondo me si sta un po’ esagerando nell’età evolutiva facendo troppi allenamenti sulla neve, sia d’estate in ghiacciaio sia d’inverno, tralasciando l’allenamento multidisciplinare che dicevo prima. Non credo che il DNA degli atleti del nord Europa sia così diverso da quello degli atleti del sud Europa o americani, almeno per quello che serve per eccellere nello sci. Non è come nell’atletica leggera nella quale il DNA degli atleti africani e nordafricani può essere d’aiuto in certi tipi di sforzi (resistenza alla corsa) rispetto al DNA degli atleti Europei che può essere d’aiuto negli sport dove la forza è fondamentale. Non so se un progetto sia attuabile, bisognerebbe partire dalla base e dalla Federazione che dà delle linee guida in questo senso, ma credo che tutto debba cominciare dall’educazione allo sport. Nei paesi nordici lo sport è visto come benessere psicofisico in generale, poi come agonismo. In Italia lo sport è visto come agonismo in primis e poi come veicolo per il benessere psicofisico. Il numero delle gare secondo me non è elevato, nel senso che, in una stagione, a livello provinciale si fanno generalmente 8 gare che servono anche da qualificazione ai regionali, lo stesso numero di gare a livello regionale e poi 4/5 a livello nazionale. Non credo si possa fare meno gare di così».

Camilla Alfieri: «Il punto centrale del rilancio è proprio la base. Non un aspetto banale perché significa riuscire a creare un cambio culturale. Sì alle competizioni per i piccoli, ma orientate al divertimento, no alle tutine da gara sino a una certa età. I numeri dicono che l’Italia sia une delle Nazioni più forti a livello giovanile (vedi risultati dell’Alpe Cimbra). Da lì in poi ci si perde e aumentano, in maniera esponenziale, i ragazzi che raggiunta l’età si buttano a fare le selezioni per i maestri di sci perché si vedono precluse le porte per andare avanti o per mancanza di motivazioni. Si passa dall’essere troppo giovani o troppo vecchi senza possibilità di mettersi mai alla prova. Un Tumler in Italia non potrebbe mai esistere, così come difficilmente avremo un Von Allmen o un Monney. Il problema è che oggi l’esempio in Italia è il team privato (ci sono atleti nella categoria ragazzi allenati individualmente), anziché il concetto di squadra vincente. Solo un progetto strutturato può stravolgere questo trend».

Francesca Marsaglia: «Assolutamente sì. Bisogna guardarsi un po’ intorno: il caso Norvegia è forse quello più emblematico ed eclatante. Bisognerebbe prendere un po’ spunto, ma è quello che mio fratello Matteo sta cercando di portare a livello giovanile (Matteo è vice presidente Commissione Atleti FISI), introducendo altre discipline che sono un po’ più divertenti, tra parallelo, gincana, cose di questo tipo. In realtà si facevano anche quando ero giovane io, mi ricordo che ancora feci lo Ski Style, una sorta di libera interpretazione, si davano poi i voti da 1 a 10, ed era bellissima. Ormai c’è un’esasperazione troppo grande e troppo presto, così gli atleti tendono ad arrivare logorati nel momento in cui in realtà deve iniziare una vita professionale. E diventa tutto più difficile. E poi secondo me non è il caso di arrivare a una specializzazione troppo precoce. Io tornerei a una polivalenza da portare avanti il più possibile, cosa che non c’è più. Le atlete di una certa età che sono al top in Coppa del Mondo arrivano tutte dalla polivalenza. Per me quello è un punto fondamentale. E da noi ormai si tende a specializzarsi troppo presto. Mi capita di sentire dire per una ragazzina di 15 anni “eh, ma lei è slalomista”. Per me non può esistere, a quell’età. Non vuol dire che andrai a vincere in tutte le discipline, no, ma tutte possono portarti qualcosa. E’ fondamentale in questo sport».

Atle Lie McGrath esulta sfinito ©Agence Zoom

2 – Il “caso” Colturi è spartiacque per una nuova era, nel senso che dimostra come sia possibile velocizzare il percorso per arrivare in Coppa del Mondo, saltando addirittura la Coppa Europa e passando per team privati? E’ quello il futuro? O è un caso troppo limite?

Daniela Merighetti: «Lara Colturi è la dimostrazione che l’allenamento e la programmazione specifica porta un’atleta ad alto livello in anticipo rispetto a un’altra che viene inserita in una squadra dove, per forza maggiore, deve fare una programmazione annuale e degli allenamenti che vadano bene per il gruppo e non per il singolo. Poi, ovviamente, l’allenamento e la programmazione di squadra può andare bene per 2/3 atleti, ma non per tutto il gruppo. Quindi, dal gruppo eccellono quelli che hanno svolto quell’allenamento e fatto quel tipo di programmazione che si adattava alle loro caratteristiche. Secondo me gli atleti che hanno la possibilità, come ha avuto Lara Colturi, di farsi un team privato, lo devono fare. Non tutti avranno il talento di Lara, ma sicuramente una programmazione mirata per ogni singolo atleta è la via corretta verso l’eccellenza».

Camilla Alfieri: «Non credo sia un progetto perseguibile per tutti. Il progetto Colturi nasce da piccola, con un club di fatto costruito attorno al progetto per ammortizzarne i costi di investimento. Da un lato può rappresentare il futuro più professionistico dello sci, stile MotoGP (anche qui un cambio epocale che appare lontanissimo). Una Nazione come l’Italia deve promuovere un progetto che punti alla collettività della squadra per consentire una crescita costante degli atleti».

Francesca Marsaglia: «Il caso Colturi è molto delicato, io non lo vedo come il futuro del nostro sport quello, perché le Federazioni sono ancora estremamente importanti e non possono permettersi dei team privati all’interno. Si può però prendere spunto dalla gestione con cui è stato fatto il tutto: se ti arrivano atlete estremamente talentuose, si può aiutarle ad accorciare qualche tappa, quello sì. Ovviamente resta un discorso estremamente delicato da toccare quando fai parte di un gruppo di 10-12 persone, come spesso sono le squadre giovanili da noi. Però la gestione, la preparazione, il fare i punti prima per non arrivare d’inverno a dover partire sempre molto tardi e con pettorali alti, sono tutti dettagli che alla fine fanno un po’ la differenza per saltare qualche step. Per quello che penso io, la Coppa Europa è ancora un passaggio estremamente importante. Anche i più grandi campioni ci sono passati, magari non per tre stagioni, ma una sì. Quindi è vero che si può prendere esempio su tante cose dal punto di vista della gestione di un team come quello di Colturi, ma non credo che questa strada debba essere per forza il futuro del nostro sport».

3 – A livello concettuale la Coppa del Mondo di sci alpino è sempre uguale a sé stessa o quasi: è il momento di cambiare qualcosa? Inserireste nuovi format? Cambiereste i sistemi di punteggio? Accorpereste più gare nelle stesse località? Assegnereste più punti alle “classiche”? Più o meno gare rispetto alle attuali? E come vedreste un ritorno alle gare nell’altro emisfero?

Daniela Merighetti: «Partiamo dal fatto che lo sci è uno sport che deve adattarsi al meteo, in primis. E nello sci ci sono più discipline che sono, tra l’altro, molto diverse tra loro. Non è come gli altri sport che programmano le gare per la stagione e la programmazione viene portata a termine nel 95% dei casi (sport che si praticano nei palazzetti, in primis, o la F1 che ha un tot di gare all’anno, quasi sempre negli stessi circuiti, il tennis, il calcio ecc.). E’ ovviamente difficile programmare un numero di gare, che vengono fatte in discipline diverse, dallo slalom alla discesa, e sperare di farle tutte entro la fine della stagione. E’ il bello e il brutto dello sci, uno degli sport con più variabili in assoluto (tipo di neve, meteo che può cambiare 3/4 volte nella stessa gara, tipo di tracciatura, pista che si rovina, discipline diverse). Io farei in generale più classiche (magari assegnando un punteggio più alto per queste) e anticiperei l’inizio della stagione a fine settembre (Sud America o Nuova Zelanda) e la farei terminare ad aprile, tenendo sempre lo stesso numero di gare, ma “spalmandole” in più mesi, così da avere più tempi di recupero tra una gara e l’altra, ma anche la possibilità di recuperare gare che non vengono disputate, a esempio, per mancanza di neve o per meteo impossibile. Avendo fatto gare posso dire che è vero, sì, la stagione è lunga, ma è ancora più lungo e stressante il periodo di allenamento che va da inizio aprile a fine ottobre!».

Camilla Alfieri: «Sicuramente la struttura potrebbe essere rivista. Oggi abbiamo un calendario iper concentrato con atleti che viaggiano da una parte all’altra per 3 mesi. Allungare il calendario, tenendo conto dei cambiamenti climatici, potrebbe consentire di spalmare le gare in maniera meno frenetica. Il fatto che sia sempre più difficile recuperare gare annullate denota quanto sia caotica la struttura attuale. Credo anche che spesso ci siano troppi atleti in gara a cui non viene data la minima visibilità perché i palinsesti televisivi non riescono a coprire l’evento. Forse converrebbe ridurre a un certo numero i partenti, dando però una nuova linfa alla Coppa Europa, copertura televisiva, località di prima fascia, qualità delle piste adeguata e comparabile con la Coppa del Mondo. Una sorta di Moto2 stile moto GP o Masters 1000 stile tennis. Credo che strutturare circuiti alternativi, coinvolgendo sponsor importanti, possa essere un’idea per dare modo a tutti gli atleti, ai giovani, a chi rientra da infortuni, a chi cerca una seconda possibilità, di competere. Io credo anche in un futuro di team professionistici stile motociclismo o ciclismo, ma vorrebbe dire scardinare completamente la struttura attuale. Le Federazioni avrebbero la loro visibilità a eventi importanti come Mondiali e Olimpiadi magari concentrando maggiormente le attenzioni e gli investimenti sull’attività giovanile, con attività atte a rilanciare i valori e a inserire lo sport, anche lo sci, nella formazione scolastica. Un futuro nell’altro emisfero, perché no? Lo sci al momento è lo sport in cui ci si allena di più di quanto si gareggi. Forse basterebbe dare anche copertura agli allenamenti, rendere anche questi un momento di show, di conoscenza degli atleti, di approfondimento. Sempre stile test invernali di F1 o Moto».

Francesca Marsaglia: «La Coppa del Mondo ha bisogno di un po’ di aria fresca, sicuramente. Per quanto mi riguarda l’ho percepita molto con questa Team Combined introdotta ai Mondiali di Saalbach-Hinterglemm 2025. Lì sul posto dove mi trovavo è stata un’emozione molto forte, credetemi: si è percepito un’aria diversa e ce n’era bisogno. E appunto non essendoci più atleti polivalenti al giorno d’oggi è stato trovato il giusto compromesso tra fare uno show notevole, perché comunque si tratta del livello più alto possibile sia in velocità sia in slalom, e al contempo trovare l’occasione per vivere una giornata più di squadra, cosa che non capita spesso. Sul posto questa sensazione si è percepita, gli atleti erano super entusiasti, dal primo all’ultimo. Poi. So che è difficile, mi rendo conto, ma per quanto mi riguarda sarebbe bello e giusto vedere il più possibile uomini e donne gareggiare assieme, nello stesso posto. Non dico tutte le gare, ma nemmeno solo l’opening e le Finali. Quindi magari potrebbe essere un’idea inserire due tappe importanti nel mezzo dell’inverno con maschi e femmine assieme, sia per la velocità sia per gigante e slalom. Questo aiuta sicuramente ad avere più tifosi sul posto, ma serve anche gli atleti stessi, che apprezzano molto. Il numero di gare per me è giusto, certo farei le stesse per ogni disciplina. Se n’è parlato mille volte senza poi fare nulla. Così sarebbe più equo a livello di Coppa del Mondo generale. Bisognerebbe anche fare un periodo un po’ più lungo nei vari Continenti, se possibile: il primo mese e mezzo, che so, in Nord America, fino al Natale, e poi rientrare; quindi in Europa. O viceversa. Vivere un po’ di più la competizione in tutte e due le grandi zone, insomma. Facile a dirsi, certo… Infine, assegnare più punti alle grandi classiche sarebbe una bella novità!».

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