Ben Heel non ha voglia di stare a casa e così papà Werner ha deciso di portarlo un po’ a spasso, mentre mamma Manuela finisce di sistemare un po’ di cose. Al telefono è contento. «Mi fa sempre piacere che mi chiamino per quel successo in Val Gardena». L’ultima di un azzurro, il 19 dicembre 2008, quando Werner vinse il superG davanti a Didier Defago e Patrik Jaerbyn.
«Certo che me la ricordo bene quella giornata. Una giornata per me di routine, non pensavo mai prima di una gara, adesso vinco. Non porta bene, anche se non ero scaramantico come Ghedina o Fattori che mi dicevano di non mettere il casco sul letto o di calzare prima lo sci destro. Ero solo super concentrato perché era una giornata senza sole, ma soprattutto perché sapevo benissimo che la parte alta è fondamentale per fare subito velocità. Avevo il 3 come pettorale, ottimo con la pista perfetta da attaccare. Ho sempre voluto pettorali bassi. Del valore di quella vittoria in casa, ammetto che me ne sono reso conto soltanto nei giorni successivi».
Sulla Saslong sei arrivato terzo anche quattro anni dopo, dietro a Svindal e Marsaglia.
«E pensare che in questa occasione pensavo di essere andato ben più veloce, di aver fatto una prestazione migliore. A me sono sempre piaciute le piste naturali come la Val Gardena o Kvitfjell dove bisogna sentire il terreno, ci sono dossi e onde, dove c’è bisogno della massima sensibilità sotto i piedi».
Ma come si vince sulla Saslong?
«Come ti dicevo, prendere subito velocità perché altrimenti la paghi sul piano e poi le Gobbe e il Ciaslat: se sbagli lì ti porti l’errore sino al traguardo. A parole è facile, in pista serve anche esperienza. La luce? Beh, forse in discesa può aiutare di più, ma sono sempre della mia idea che è meglio partire con numeri bassi».
Domanda secca, chi vince la discesa?
«Dico Kilde, ma spero che Domme mi smentisca».
Bene, Werner ci vediamo venerdì e sabato a Santa Cristina.