Olimpiadi, le regole sulle sponsorizzazioni a senso unico e gli atleti obbligati al silenzio

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Ad ogni Olimpiade, estiva ed invernale, ci troviamo di fronte alla stessa questione in merito alle sponsorizzazioni. Spazi per gli sponsor delle aziende produttrici dell’abbigliamento degli atleti e dei tecnici ridotti in termini di misure, quindi assenza totale di sponsor personali degli atleti, infine bocche cucite dei ragazzi che dal 1 febbraio hanno il divieto assoluto di parlare con la stampa se non negli spazi appositi dei siti olimpici. Roba da regime? Sembra proprio così.

LA QUESTIONE DEGLI SPONSOR – Verrebbe allora da chiedersi come mai gli sponsor debbano investire delle risorse sugli atleti se, a conti fatti, nella passerella più importante, non possono essere visibili. E verrebbe anche da chiedersi perché il mondo sportivo dovrebbe cercare sempre più appoggi nel privato se poi nella rassegna più significativa non può mettere in mostra un fico secco. Sembra davvero un controsenso. Inoltre stride il concetto di Olimpiade come promozione esclusiva di sport dilettantistico: quanti sport di alto livello sono dilettantistici e non generano fonti di guadagno? Parliamone. Quello che poi fa più scalpore sta nel fatto che il CIO invece di sponsor ne ha. Ed eccome se ha sponsor: sono multinazionali e quindi l’opposto del concetto del dilettantismo. Insomma, predicano in modo e poi fanno l’opposto. Lo sport ha bisogno di privati, come lo sport ha anche necessità di chi lo racconta, di chi lo scrive, di chi lo comunica.

SILENZIO – Dal 1 febbraio, fra l’altro a nove giorni dall’inizio ufficiale dei Giochi Olimpici coreani, gli atleti non possono parlare. Altrimenti vai di ammende e squalifiche. Incredibile. Quale problema si dovrebbe generare? Non si capiscono i motivi, sembra un atteggiamento proprio miope. Provate ad incontrare un atleta in un giorno di riposo all’interno del villaggio olimpico? I giornalisti non hanno diritto nemmeno di mettere il becco all’interno del villaggio, se non attraverso richieste impossibili. Ma il sano giornalismo dovrebbe raccontare, far appassionare, trasmettere i valori autentici dello sport. Farlo conoscere e farlo amare, educare insomma. Le regole olimpiche ci sembrano per certi versi retrograde. I Giochi rimangono tuttavia un appuntamento di cartello, perché la  percezione all’esterno è davvero mondiale. Ma c’è qualcosa che va rivisto e forse sono i Comitati Olimpici nazionali a doversi mettersi attorno ad un tavolo e proporre, sentite le proprie Federazioni, un’inversione di tendenza.

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