Ma quanto l’hai cercata, quanto l’hai voluta, quanto l’hai desiderata. Sembrava tutto scritto quando hai infilato i bastoni fuori dal cancelletto di partenza. Hai spinto dal primo centimetro della Saslong fino alla linea del traguardo: leggero, fluido, delicato. Un gatto. «Si muoveva con il giusto tempismo, eccezionale», Lorenzo Galli. «Superiore nelle parti più tecniche ossia il Socher e uscita Ciaslat. Ma soprattutto pancia a terra», Max Carca. Si, quella voglia di andare a tutta, di spingere, di liberarsi di calcoli, dubbi, di anni dove mancava sempre qualcosa, un parte, un pezzo. Più forte della sfortuna che tante volte lo ha perseguitato e oggi si è fermata a un centesimo. Oggi nel superG in Val Gardena è arrivato un trionfo pazzesco, bestiale. Finalmente Mattia. Trapiantato prima nel tarvisiano ancora minorenne per sciare e studiare al Liceo Sportivo Bachmann, poi orobico di adozione per amore.
Da ragazzino ha dominato in lungo e in largo le categorie dei più piccoli. Ha bruciato le tappe delle nazionali agli ordini della Serra Armada (il team capitanato da Alessandro Serra). «Arriverà presto», allenatori e opinione pubblica in coro. Invece Mattia, trentaquattro primavere, ha sofferto, come spesso capita anche ai più talentosi, il passaggio in Coppa del Mondo. Infortuni certo lo hanno frenato, ma anche la difficoltà di esprimersi. Talento naturale, motore eccezionale, tecnicamente sopraffino. Ma mancava sempre qualcosa. Due anni fa la svolta, con i primi podi proprio qua in Gardena in discesa e poi a Wengen, quindi in superG a Cortina. La stagione passata sembrava soffrire il fatto di essere arrivato davanti, nonostante mancasse la vittoria. Cosa è cambiato questo inverno? Non la sciata, non la tecnica: quella c’era e c’è. «Voleva solo strafare, questo il suo errore. Per il resto, tecnica e fisico a posto», Cristian Corradino.
Quante volte il suo vecchio allenatore Alberto Ghidoni andava su tutte le furie perchè non riusciva a concretizzare questo immenso potenziale. E aveva ragione Ghido. Quante volte chi lo ha seguito, tifato, chi credeva in lui da sempre si è mangiato le mani per non vedere finalizzate le sue capacità. Il nuovo Mattia Casse è più libero, sereno. Un po’ più spavaldo, più consapevole dei suoi mezzi. Più sciolto. Negli ultimi anni è stato un perfezionista, uno di quelli che non beveva mezza birra durante l’inverno agonistico. Sembra adesso aver preso le cose per quello che sono, sembra non fasciarsi tropo la testa. Ha cambiato mentalità, atteggiamento. Potente, talentoso, adesso anche davvero maturo il solido Casse. Eccolo: «Dopo le Olimpiadi cinesi ero a un bivio, volevo quasi smettere. Poi la stagione a seguire sono arrivati tre podi. Ho voltato davvero pagina, mi sono concentrato non solo sugli allenamenti ma anche sulla mentalità, sulla testa, sul modo di affrontare non solo la mia vita da atleta ma la mia vita. Così sono arrivati i primi risultati di rilievo, poi però un altro periodo in cui sembravo non dico smarrito, ma un po’ in difficoltà. Quest’anno ho completato la mia maturazione. Mi dicevo sempre di essere felice perchè sono un uomo felice, un atleta, un uomo che fa quello che ama. Mi sento attorno tanta gente che mi stima e con cui lavoro con passione. Oggi è arrivata una vittoria pazzesca, difficile ancora da metabolizzare». Libero Mattia. «Finché dura…». Questa una delle prime frasi che Mattia ha sussurrato ai microfoni, ancora stordito dal trionfo. Finché? Adesso, deve durare e a lungo. Adesso tutte le cose sono al poso giusto. Forza ragazzo, a tutta.