Irene Curtoni racconta così la sua prima gara di Coppa in Valtellina

Una storia da vivere perché arriva dall’interno e non capita di averne tutti i giorni. Irene Curtoni, valtellinese di Cosio, classe ’85, sfortunata protagonista dello slalom speciale di Santa Caterina, racconta così le ore della vigilia, funestate da un virus intestinale, e tutto ciò che ne è seguito fino all’affettuoso abbraccio della ‘sua’ valle dopo la gara. Da leggere tutto d’un fiato.

Ore 2:00 del mattino: mi sveglio sudando freddo e da lì a poco mi rendo conto che quel maledetto virus ha colpito anche me. Vomito la prima volta sperando sia un episodio sporadico ma dopo 3 ore dando l’anima al water mi rassegno all’idea che la mattina dopo sarà probabilmente più dura del previsto. Dopo un’ agognata ora di sonno, alle 6 e qualcosa suona la sveglia; il forte senso di nausea e la corsa al gabinetto mi ricordano che le ore prima non sono state solo un brutto sogno e che sì, oggi è il giorno della gara. Merda!
2 iniezioni dopo sono con gli sci ai piedi. Durante la ricognizione mi concentro come al solito ma gli svarioni che ho mi mettono qualche dubbio: da dove cavolo prenderò le energie oggi?
Fare riscaldamento nei pali non è contemplabile quindi opto per il team hospitality e, dato che anche di mangiare proprio non se ne parla, mi sento soddisfatta quando riesco ad ingerire un paio di sorsi di tè.
E’ ora di andare: mi vesto e cerco di ricompormi perché non ci sono balle, anche se stai da cani in gara parti uguale agli altri, nessuno ti dà vantaggi per pietà. Ed è giusto che sia così.
In partenza sono concentrata e mi attivo correttamente, il riscaldamento a secco funziona e sono veramente carica per questa gara; la pista mi piace ed è preparata benissimo, gareggiare in Valtellina per la prima volta è una figata e la mia sciata in slalom è da tanto che non è così buona, quindi, checcavolo, mi dimentico della nottataccia e parto pensando solo a sciare nel modo più veloce che conosco.
Sento il pubblico a bordo pista incitarmi per nome, mi piace. Tutto bene, ho preso un buon ritmo e devo continuare a incrementarlo; passo una serie di figure su un dossetto un po’ “alla Olivia” ma ritrovo subito l’ appoggio, ora spingo queste 3 bene a ritmo……….. ma niente, sono già per terra. Merda, merda, merda, merda, merda.
Mi rialzo, me la prendo con una rete, mi insulto, insulto il mio scarpone che ha toccato per terra facendomi scivolare, me la prendo con me stessa per essere caduta, per aver preso uno schifo di virus, per essere ancora una volta mediocre. Ma poi, non importa quanta sia la rabbia e la vergogna che provo, devo rialzare la testa, perché tanto per oggi è finita e non posso più cambiare la situazione.
Un bravo atleta è anche colui che riesce a superare velocemente le delusioni, imparando da esse, per iniziare presto a lavorare per il prossimo successo. Non c’è tempo per piangersi addosso.
Arrivo al traguardo dopo qualche tappa dai miei allenatori lungo la pista che mi aiutano a star su di morale e consegno gli sci al capo della Rossignol, sentendomi a disagio per non essere un’ atleta migliore. Vedo il mio papi oltre le recinzioni che mi conferma la mia buona sciata nelle prime porte (di papi ce n’è uno tutti gli altri son nessuno), parlo con la stampa (grata che si interessino al mio pensiero ma al contempo preoccupata per come lo trasformeranno), sento i bambini di uno sci club chiamarmi per gli autografi (ne sono lusingata), trovo mia mamma e mia zia che scherzano su quanto verde sia in viso (mi chiedo come facciano a sapere che sono stata male, non volevo si preoccupassero).
Che bello fare le gare in Italia: autografi, foto, mi regalano persino un braccialetto (grazie!); non è mai scontato, in particolar modo dopo una brutta prestazione, che la gente venga a chiedere di te. Non amo granchè stare al centro dell’ attenzione ma mi piace l’ idea che per qualche bambina io stia facendo qualcosa di grande e mi fa dimenticare per un attimo quanto sia in realtà arrabbiata in questo momento.
Mi viene da vomitare ma cerco di parlare con tutti finchè arriva il momento di trascinarmi in camera. Mi metto a letto e guardo la seconda manche, frustrata per aver perso un’ altra occasione e consapevole che oggi avrei potuto fare veramente una bella gara.. anche se con i “se” e i “ma” nessuno ha mai vinto niente. Bevo CocaCola e dormo; verso sera riesco ad ingerire un pugno di riso, poi mi riaddormento sperando che rimanga giù.
Domani sarà già ora di ritrovare delle energie per fare qualche giro di allenamento.
Chi si ferma è perduto.

Irene

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