Oggi è arrivata la notizia ufficiale, da settimane nell’aria: Giuliano Razzoli ha detto basta. L’olimpionico del 2010 (suo due stagioni fa l’ultimo podio della squadra azzurra in slalom in Coppa del Mondo) lascia l’agonismo e noi vi riproponiamo l’editoriale di aprile di Race Ski Magazine.
Ha lasciato in modo silenzioso e forse è stato il modo migliore per Giuliano Razzoli. Diciotto stagioni in alto livello, l’ultima passerella accarezzata a Kranjska Gora prima che la forte pioggia che spazzasse via pista, gare e sogni. E che scombussolasse i suoi piani di addio all’agonismo. È uscito in punta di piedi, con lo stesso stile con il quale ha affrontato gli anni della Coppa del Mondo, dei successi e delle difficoltà. Una persona unica nel suo genere e inimitabile, un ragazzo di rara genuinità e purezza. Sempre disponibile e alla mano, consapevole dei suoi mezzi e costantemente alla ricerca di miglioramenti. Un atleta conosciuto e seguito, capace di risvegliare tanti, tantissimi tifosi, che hanno fatto levatacce da soli o con il mitico fan club, pur di seguirlo negli skistadium di mezzo mondo per sostenerlo da vicino e incontrarlo a fine gara. Ha lasciato il segno, ha saputo farsi apprezzare come atleta e come persona e questo non verrà dimenticato facilmente.
Il cuore di tanti italiani, che amano la neve e lo sci, è tornato a battere forte dopo quella medaglia d’oro incredibile nello slalom di Vancouver. Il suo viaggio da slalomista avrebbe potuto chiudersi quello stesso giorno di quattordici anni fa, quando raggiunge la gloria e l’apice per qualsiasi sportivo. I favoriti della vigilia erano Julien Lizeroux e il reggiano, non aveva dubbi l’allora tecnico Jacques Theolier. E non ha sbagliato. L’oro olimpico è andato al collo di un altro figlio dell’Appennino, come Alberto Tomba e Zeno Colò, che insieme hanno vinto il maggior numero di ori olimpici nel settore maschile dello sci alpino.
La storia di Razzo è però fatta anche di tanti momenti difficili, problemi di salute e di gestione. Tanti infortuni lo hanno martoriato, anche sul più bello. La caduta nello slalom di Kitzbühel (2016) è arrivata nel modo peggiore e mentre stava attraversando un periodo magico. Il più forte Razzoli di sempre lo definisce Simone Del Dio, che per tanti anni lo ha seguito.
Si è però tolto anche delle belle soddisfazioni in carriera: due vittorie in Coppa del Mondo, per un totale di undici podi. E potevano essere molti di più nel suo percorso, concluso alla soglia delle quaranta primavere, fatto anche di incomprensioni. Quando è entrato nelle squadre giovanili quasi nemmeno lo volevano, fino a quello slalom di Coppa Europa a Madesimo (2007) che gli spalancò le porte del massimo circuito, lasciando in silenzio chi lo aveva criticato e gli invidiosi. A volte avrebbe potuto essere protetto e valorizzato maggiormente, lasciandogli la libertà di sciare; in fondo contano i risultati e non l’età (mantra di Max Carca). L’ultimo podio italiano in uno slalom di Coppa del Mondo è ancora il suo e risale a due anni fa, terzo a Wengen. Un podio, ma soprattutto un trampolino di lancio per i vicinissimi Giochi Olimpici di Pechino, finito a un passo dalla storia, appoggiato a una transenna a raccontare ai giornalisti presenti il dolore, ma allo stesso tempo la bellezza dello sport e dell’agonismo. È straordinario, ti porta verso una sfida sempre più grande. E non fa niente se per un paio di decimi non sono tornato sul podio olimpico. Abbiamo ancora impressa quella immagine, abbinata alle sue forti parole. E chissà come sarebbe andata a finire con un’altra medaglia al collo dopo 12 anni e i problemi affrontati.
Ora è il tempo degli applausi ma sopratutto dei ricordi per questo neo papà. Ci mancherà l’uomo con la sua mentalità, il suo atteggiamento, la sua disponibilità e il suo entusiasmo che sapeva generare fra amici, tifosi e compagni di squadra. Come ci mancherà l’atleta, ma questo lo diamo per scontato.