Franzoso: proviamo a riunire i pezzi. Cosa sappiamo e cosa no?

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Ieri sera ho provato a mettere in fila ciò che è successo poco prima e poco dopo la caduta che è costata la vita a Matteo Franzoso. Ho cercato quindi su tantissimi siti, dalla stampa locale ai più importanti giornali del mondo, setacciando qualsiasi cosa sia stata pubblicata in italiano. E una cosa mi sembra sia possibile dirla senza particolare timore di smentita: da La Parva non è uscito granché.

Degli eventi che hanno portato alla morte di Matteo Franzoso hanno scritto i maggiori quotidiani e le più importanti agenzie di stampa del mondo. CNN, Guardian, New York Times, Reuters, Marca e tante altre, ma spesso aggiungendo poco contesto o andando poco oltre una riscrittura dei vari comunicati stampa. Tanti quotidiani in lingua spagnola, per esempio, anziché a fonti locali, si sono affidati alla Gazzetta dello Sport, che a sua volta ha appreso notizie dall’Italia.

La nota federale

In particolare il comunicato stampa che dà notizia del decesso, racconta l’accaduto in un paragrafo. Si menziona come Franzoso abbia «affrontato male il primo, piccolo salto» della pista d’allenamento, di come abbia «oltrepassato due file di reti» e poi sbattuto contro una staccionata. Per me che in Cile non c’ero, e non sono mai stato, non è facile capire: in che senso “piccolo salto”? Se la caduta di uno sciatore riesce a “bucare” due strati di reti, forse due file di reti non sono sufficienti, no? O non erano piantate bene? Quella staccionata di che materiale era, da quanto tempo era lì, chi scia lì tutti gli anni se n’era già lamentato o meno? Non sono domande retoriche o di secondaria importanza. Ed è normale che ce le si ponga, siccome nessuno è riuscito a soddisfarle con puntualità e precisione.

Il medico svizzero

Provo quindi ad aggiungere un po’ di contesto, pur consapevole del fatto che vado cercando un ago in un pagliaio. Uno dei più stimati giornalisti che seguono il Circo Bianco, Marcel Perren di Blick, ha scritto che «un medico della squadra maschile svizzera ha fornito il primo soccorso». Notizia confermata da Innerhofer in una intervista al quotidiano La Stampa. L’articolo di Blick cita inoltre un commissario di pista, che loda la prontezza dell’intervento: «Ha fatto un ottimo lavoro. Senza di loro, Matteo sarebbe quasi certamente già morto sul luogo dell’incidente».

Da Santiago

Sull’edizione del 17 settembre del quotidiano cileno Las Últimas Noticias viene intervistato Stefano Pirola, presidente della Federazione cilena di sci e snowboard. Il dirigente, si apprende dall’articolo, ha trascorso l’intera giornata di lunedì con la famiglia Franzoso. Ha poi aggiunto qualche dettaglio riguardo la caduta: «È successa nella parte alta della pista, su una curva in piano. Ha perso il controllo degli sci ed è schizzato in avanti. Più avanti c’era un frangivento, una barriera per trattenere la neve. Poiché è un luogo molto ventoso, in molte parti del mondo dove non esistono alberi, come ad esempio in Nuova Zelanda, la neve produce un effetto vortice dove si accumula. Ha superato le due reti di protezione che attenuano l’impatto e la velocità, ma quando uno sciatore va dritto verso le reti, può superarle. E c’era questa palizzata, non so a che distanza, ma a una distanza ragionevole dal tracciato della pista, e l’ha colpita direttamente, con le conseguenze deplorevoli che tutti conosciamo». 

Continua Pirola: «Il Cile è un classico luogo di allenamento, da oltre 40 anni. Sono persone che conoscono la pista, conoscono il posto. L’incidente è avvenuto durante una sessione mattutina d’allenamento. Da quando ho memoria, nessuno aveva mai avuto un incidente in quel punto della pista». Poche settimane fa si è svolta una gara di velocità sulla stessa pista e non è successo nulla, precisa Pirola, anche se nelle prove ufficiali c’è un delegato tecnico che stabilisce le misure di sicurezza per il tracciato, cosa che non avviene negli allenamenti.

Frame catturato da un video postato sull’account Instagram di Theaux, prima dell’incidente.

«Matteo era uno sciatore apprezzato. Infatti Henrik von Appen, il nostro miglior atleta, si allena con la squadra italiana ed è piuttosto sconvolto, perché li conosce da molto tempo. Come federazione abbiamo offerto fin da subito tutto il nostro aiuto», ha raccontato.

Non si sa molto altro dalle autorità cilene. L’unica altra cosa che ho trovato (sia sul sito ufficiale della stazione sciistica che sui suoi canali social non c’è traccia della notizia) è in questo articolo: si menziona una dichiarazione, messa in bocca genericamente al “centro sciistico di La Parva”, che si dichiara addolorata per l’accaduto. «La squadra italiana di sci si allena da anni a La Parva e questa situazione ci commuove profondamente».

Altre entità cilene hanno espresso il loro cordoglio. La Federazione sciistica cilena ha fatto un post su Instagram, l’ambasciata italiana in Cile sta tenendo aggiornati gli orari di apertura della camera mortuaria. La Federazione cilena ospitante, così come tutte quelle che ogni anno vengono ospitate nelle diverse aree sciistiche intorno a Santiago, hanno sempre fatto le opportune valutazioni di sicurezza?

Matteo Franzoso a Kitz, durante la discesa di Coppa del Mondo ©Pentaphoto

Si sa con certezza, invece, che da pochi mesi l’azienda americana Mountain Capital Partners (MCP) ha acquistato la stazione sciistica di La Parva. Per la gioia di chi prima la controllava, (Leonidas Vial Claro, secondo cui si sarebbe «sviluppato un resort di fama mondiale nell’emisfero sud») e di chi se l’è comprata (James Coleman di MCP, per l’appunto, che si sarebbe impegnato a «creare il più grande e meglio-servito-da-impianti resort del mondo»).

Ho citato molte entità (federazioni, dirigenti, singole persone, l’ambasciata italiana in Cile, nientemeno) ma senza puntare il dito o colpevolizzare qualcuno. Non è l’intento di questo articolo. Eppure, da qualche parte, dovrà pur esistere il concetto di accountability. È una parola inglese difficilmente traducibile in italiano: sta per “assunzione delle proprie responsabilità”, “obbligo morale di rispondere di qualcosa”. Oppure, siccome dal Cile non arrivano notizie di prima mano, facciamo passare qualche giorno così la polvere scivola meglio sotto al tappeto?

Il materiale che circola in rete

Una cosa deplorevole che sta accadendo in questi giorni è la circolazione, sui vari gruppi WhatsApp e dopo chissà quanti inoltri, di presunte foto del luogo dell’incidente. Della presunta staccionata, della presunta curva dove Franzoso è uscito di pista. Foto talmente zoomate e sgranate che potrebbero essere state scattate ovunque. Su Blick, poi, è uscito un pezzo in cui vengono elencate «altre stelle dello sci a cui sono capitati incidenti mortali». Entrambe queste cose le ritengo afferenti alla cosiddetta “pornografia del dolore”: contenuti cioè che sfruttano traumi altrui per generare scalpore o attirare l’attenzione.

Anche per questo è difficilissimo – oserei dire impossibile, ora come ora – tracciare un quadro preciso, definire lo stato dell’arte delle cose. Le voci si inseguono, il passaparola spesso degenera (anche inconsapevolmente) nella bugia. 

Matteo Franzoso in una foto del 2017, erano gli Italiani in Piemonte

In un post su Facebook, Davide Marta direttore editoriale di Race, ha scritto che le basi stesse dello sci poggiano sul «far finta di non vedere», una sorta di omertà per cui si diventa ciechi di fronte a pericoli ben in vista. Ecco, di fronte a tante informazioni che mancano – e ho fiducia nel fatto che, col tempo, in un modo o nell’altro, salteranno fuori –, la richiesta dovrebbe essere più trasparenza delle autorità, più giornalismo investigativo, meno attivismo performativo e più prese di posizione concrete. 

In una rara assunzione di responsabilità, Matteo Marsaglia ha chiesto «SCUSA». Non solo a Franzoso, ma a tutti gli atleti più giovani, perché – continua Marsaglia – la colpa è «nostra, di […] quella vecchia mentalità che ci è rimasta in testa del show must go on».

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