Matilde Lorenzi il 28 ottobre 2024, Marco Degli Uomini il 9 marzo 2025, Matteo Franzoso il 15 settembre 2025. Ci possiamo aggiungere anche David Poisson nel 2017 e Margot Simond la scorsa primavera: l’elenco è già lungo. Troppo lungo. Brividi. Preoccupazione. Vite spezzate sulla neve, al di fuori delle competizioni. È arrivato il momento di riflettere, di mettere da parte le frasi di cordoglio, di sedersi intorno a un tavolo e capire che cosa si può ancora fare per migliorare la sicurezza. Tanto è stato implementato negli anni, su tutti i fronti: protezioni delle piste, omologazioni, accessori protettivi per gli atleti. Probabilmente non basta ancora, anche perché nel frattempo le prestazioni aumentano sotto tutti i punti di vista: piste tirate a lucido, materiali studiati per andare sempre più forte.
Il mondo dello sci si interroga. E lo fanno senza troppi peli sulla lingua anche gli atleti. «Quante tragiche scomparse dovremo ancora subire prima di aprire finalmente il dibattito sul tema della sicurezza, in particolare durante gli allenamenti?» scrive Adrien Théaux. Che aggiunge: «Per rispetto verso coloro che hanno pagato con la vita, è ora che tutte le istituzioni si siedano attorno a un tavolo per trovare delle soluzioni! Federazione internazionale, federazioni nazionali, allenatori, ma anche i primi interessati: gli atleti». Già, perché il velocista per natura vive di adrenalina, di salti nel vuoto, di brividi ed emozioni. Si tuffa in pista alla ricerca della massima scorrevolezza. In gara ovviamente è tutto portato all’estremo, ma anche negli allenamenti le velocità sono comunque elevate.

Solo che lungo una pista di gara – a livello generale e non in una specifica pista – ci sono reti di tipo A, reti di tipo B anche in più file a seconda del punto, materassi e materassi ad aria. In Coppa del Mondo si trova tutto, in una Fis o una gara Children generalmente si parla di reti. Prima della ricognizione arriva poi il responsabile di turno e ti dice “lì ci va una rete, lì ne voglio una in più, sposta più in qua quella porta, questo passaggio lo rivediamo”.
Negli allenamenti è difficile trovare gli stessi allestimenti, a meno che la conformazione del pendio non imponga a priori una certa configurazione. (Succede spesso di sciare su piste dotate di reti A, a priori). A meno che non si abbia la fortuna di poter sfruttare piste pronte per un evento. Non entriamo nello specifico di una pista, di una località o di una gara, anche perché bisogna essere sul posto per capire realmente la situazione e conoscere le condizioni della neve, i dossi visibili o nascosti, la velocità di entrata e di uscita, la visibilità in quella terminata manche e tutte le tantissime variabili a cui il mondo dello sci è abituato.

Certo è che alla luce degli eventi drammatici degli ultimi mesi, diventa difficile limitarsi a parlare di “fatalità”. Ed è stato il primissimo pensiero di Lucrezia Lorenzi, che neanche un anno fa ha perso la sorella: «È arrivato il momento di fermarsi. Le parole “fatalità” e “disgrazia” non sono presenti nel vocabolario di un professionista – ha scritto sui social – Non si può partire per andare a sciare e non tornare più a casa». Appello che trova d’accordo tutti, anche Alexis Pinturault: «Dobbiamo fare cambiare le cose: la rabbia prevale».
Sull’attuale situazione è intervenuta anche la giovane azzurra Marta Giaretta: «Cosa non sta funzionando? Reti inadeguate? Tracciati troppo rischiosi? Sci sempre più veloci? Poca sicurezza? Forse un mix di tutto questo. Una cosa è certa: servono più sicurezza e consapevolezza».
Se dopo l’incidente di Matilde Lorenzi a prevalere erano perlopiù stupore, dolore e rassegnazione, ora a circolare è la rabbia. Siamo di nuovo a parlare di una tragedia.

«Dobbiamo dare un segnale immediato, lo dobbiamo a Matteo e agli altri ragazzi che non ce l’hanno fatta» è stato il messaggio del Ministro Andrea Abodi che ieri (martedì) ha partecipato a un tavolo di lavoro (fissato già da tempo) composto anche da Fisi, Fisip, Anef, Maestri di Sci e Cip proprio sul tema della sicurezza.
L’Italia, alcune novità in materia di sicurezza le ha già introdotte: il casco sulle piste è obbligatorio per tutti dal mese di agosto, gli allenamenti di qualsiasi atleta potranno ora essere svolti solo su piste omologate per la specialità o per una specialità superiore (gigante e slalom su un pendio di velocità), poi è stato introdotto l’obbligo dei capi resistenti al taglio.
Primi passi, un punto di partenza, ma a questo punto serve di più. E non è una questione italiana, è un argomento che interessa il mondo intero dello sci. E che va affrontato da tutti gli stakeholders implicati in questo settore. A livello internazionale. Mondiale.
Nel frattempo ci si interroga su che cosa sia successo in Cile, su quella pista che solo pochi giorni prima aveva ospitato le gare della South American Cup. Toccherà alle autorità locali fare chiarezza sull’accaduto. Il mondo dello sci ha bisogno di risposte. E magari anche di qualche atleta di qualunque livello, dal giovane sognatore ai campioni affermati che dica: “Io qui non scendo”. Christof Innerhofer, dopo notti insonni, ha fatto i bagagli e sta tornando a casa.
Dopo questa ennesima tragedia, che tocca da vicino l’Italia, con quale coraggio le famiglie manderanno a sciare i propri figli? Lo sci è sempre stato uno sport bellissimo, una palestra di vita per tutti, uno sbocco professionale per molti. Ora sta avendo un prezzo troppo alto da pagare. Anche per quelli atleti che vivono per il superG e la discesa. Che amano il brivido e la velocità che scorre nelle vene.
«È ora di aprire gli occhi ed evolversi». Parole di Nils Allegre, affidate anche in questo caso alla community.




