Il risultato più significativo, la performance migliore, è stato il suo ultimo messaggio. Roberto Nani nella sua carriera agonistica ha saltato la trafila tradizionale delle squadre nazionali giovanili per arrivare allo sci che conta davvero. Non che abbia preso delle scorciatoie, anzi, l’esatto contrario. Fuori dal giro azzurro, forte di talento e perseveranza, è riuscito ad emergere ugualmente. Un cammino più impervio, per certi versi in solitudine, un viaggio fuori dagli schemi, una strada che l’ha comunque catapultato in Coppa del Mondo a suon di risultati.
Forse Robi ha dovuto dimostrare qualcosa di più degli altri, ha dovuto farsi spazio con maggiore determinazione, ha dovuto zittire le malelingue che non si fidavano appieno delle sue capacità. A causa di innumerevoli problemi alla schiena non lo vedevamo sulla neve dalla scorsa stagione. Solo oggi ha comunicato ufficialmente l’addio all’agonismo. Diciotto volte nei primi dieci in Coppa del Mondo, tre nei cinque. Ha partecipato a due Mondiali e ad una Olimpiade. È mancato il podio per consacrarlo forse, ma la sua lezione è stata ancora più forte. Per diversi anni ha rappresentato l’Italia del gigante, in inverni dove il livello era stratosferico, pazzesco; ha lottato con Hirscher, Ligety, Pinturault, quando si gareggiava per il quarto posto, visti questi mostri sacri imbattibili.
Robi ha sempre cercato la perfezione, curato i dettagli, studiato i particolari. Robi non si è mai accontentato, ha scovato soluzioni alternative, provato vie diverse per eccellere. E questa sua volontà è stata ritenuta a volte scomoda dai tecnici della federazione, ritenuta un attestato di poca stima. Ma così non era. Robi è uno buono, un riflessivo. Oltre che un talento. Quella maledetta schiena lo ha obbligato a frenare la sua avventura, ma la sua voglia di emergere, crescere, distinguersi rimane una lezione per tutti.