L’Italia crede nello ski cross?

V iaggio nel mondo dello ski cross. Disciplina che ormai dal 2010 assegna medaglie olimpiche, ma che solo ora sta prendendo una direzione maggiormente definita. Per la FIS resta nel freestyle, per la FISI o per le federazioni francese e austriaca è entrata nell’orbita dello sci alpino. Perché di alpino si tratta: gli sci sono da gigante, le linee sono quelle del superG, ci sono salti e paraboliche che puoi trovare in discesa.

IL PROGETTO ITALIA
Da due stagioni lo ski cross è entrato nel programma degli italiani Children. «Abbiamo fatto questa scelta per allargare la base – ha raccontato il responsabile FISI della categoria, Paolo Colombo -, i numeri sono in crescita, anche se dobbiamo insistere su alcune resistenze, quelle di avere più tracciati a disposizioni e le paure degli atleti di farsi male. Ma anche gli allenatori devono ragionare diversamente: non è una gara dove è permesso qualcosa di più, dove si può fare a sportellate con gli avversari. Per questo anche nei corsi di aggiornamento STF ci sono moduli dedicati allo ski cross». L’esempio arriva anche da altre nazioni, come la Francia. Parlando con Enak Gavaggio, adesso conosciuto per il suo webshow con il personaggio di Rancho, uno che ha vinto sette medaglie agli X-Games, ci aveva raccontato di essere arrivato sino alla squadra di Coppa Europa come discesista, ma avendo capito di non avere chissà quale futuro in Coppa del Mondo, visto che sui piani non andava, era stato dirottato dai suoi tecnici sullo ski cross, dove ha costruito la sua carriera.
«Dobbiamo sfatare anche altri miti – ha confermato Andreas Krautgasser, gran capo dello ski cross azzurro, di Innichen, la patria della disciplina in Italia, tappa fissa di Coppa del Mondo -. La disciplina per i Children non è quella che si vede in televisione, bisogna ribadirlo soprattutto alle famiglie, ma anche spiegarlo bene ai responsabili delle stazioni sciistiche. I tracciati devono essere disegnati in modo che sfruttino al massimo le caratteristiche del pendio, senza particolari lavori di movimento neve, con chissà quali salti o paraboliche. È sci alpino e deve essere complementare e propedeutico. In Italia le piste sono super preparate già per i Pulcini, ma le vasche ci sono anche in Coppa del Mondo». Avere delle basi per adattarsi già da piccoli servirà in futuro. E per farlo forse è meglio fare qualche palo in meno e qualche discesa in più in condizioni particolati.
«Ne abbiamo parlato lungamente con Guadagnini e Carca e la strada è quella. Sarà lunga, ma deve essere quella: per avere sciatori più preparati in qualsiasi situazione. Se poi al primo anno Giovani, decideranno per lo ski cross hanno già una base solida costruita. Ovviamente dev’essere un percorso condiviso: in ogni Comitato regionale ci saranno gare, con la speranza che non vengano intese come una imposizione, ma come modo concreto di far crescere i ragazzi».
In molti iniziano a crederci: ci sono stazioni che adesso hanno piste dedicate, oltre a San Candido, anche Watles, Val Gardena, Madonna di Campiglio, Passo San Pellegrino e Bardonecchia, dove i ragazzi possono provare, sempre nell’ottica del divertimento.

LO SKI CROSS È CAMBIATO

I primi anni sono stati davvero a rischio, soprattutto per gli atleti che venivano buttati giù, senza tante regole. Adesso è cambiato tutto, senza comunque snaturare lo spirito della disciplina, ma alzando l’asticella della sicurezza. La velocità massima calcolata è di 80, massimo 90 km/h, un po’ la stessa di un gigante. E chi cerca il contatto viene sanzionato. «In tanti pensano che per fare ski cross sia necessario arrivare dalla discesa, invece ci sono diversi ex slalomisti che vanno forte». La FIS voleva addirittura inserirlo con lo snowboarder cross, ma qui siamo molto più vicini a una gara di Coppa del Mondo di sci alpino.

L’ESPERIENZA DI THANEI
Stefan Thanei, uno che ha chiuso nella top ten la discesa di Kitzbuehel, da sei stagioni è passato allo ski cross. «La difficoltà maggiore non è tanto quella di gareggiare in quattro,
quanto quella di non poter sempre fare la linea che avevi in testa – ha raccontato -. Nello ski cross devi improvvisare e adattarti perché in quel punto dove pensavi di passare, ti trovi qualcuno di traverso. Solo in qualifica, puoi fare quello che vuoi, ma lì non si vince la gara. Certo bisogna saper sciare: abbiamo uno sci da gigante 30 metri e con quello facciamo curvoni da superG». E se avessi iniziato prima? «Rifarei lo stesso percorso, ma adesso mi diverto. L’età media si è abbassata e si vede la differenza: non mi tiro mai indietro, ma hanno una sensibilità e anche una capacità di prendersi qualche rischio maggiore». In allenamento? «Non sempre si può pensare di avere una pista come quella di Coppa del Mondo, anche in ghiacciaio, allo Stelvio (grazie anche all’appoggio di Prinoth, ndr) abbiamo un nostro spazio. Ci prepariamo con sloveni e statunitensi: la partenza è sicuramente uno degli aspetti più importanti da curare, e poi le onde. In discesa non ci sono e invece devi saperle interpretare al meglio: se sbagli, ti fermi».

Articolo tratto da Race ski magazine 148 di febbaio 2018. Se vuoi acquistare la copia o abbonarti visita il nostro sito.

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