Che viaggio Riccardo. Da Roma, dalla provincia capitolina e più precisamente da Subiaco, in squadra nazionale. Il viaggio di Riccardo Allegrini è stato un inanellarsi di storie, situazioni, successi e anche di momenti difficili (come l’infortunio di due anni fa). Una storia che sottolinea la caparbietà, la determinazione, la cattiveria agonistica di questo giovanotto laziale classe 2000. La storia da piccolo di Riccardo è quella di tanti che primeggiano a livello Pulcini, dove lo sci conta poco o nulla, dove i risultati se non presi con le pinze fanno l’effetto contrario incrementando illusioni. Ma Riccardo ha sempre avuto quella intelligenza di vivere passo dopo passo, di gioire dando il giusto peso alle cose, di capire che il viaggio era lungo, lunghissimo. E lo sa anche adesso, anche ora che ha conquistato il sogno azzurro: «Una gioia immensa la squadra nazionale, quasi inaspettata questa convocazione i azzurro se penso all’inizio della stagione dove l’obiettivo era abbassare i punti in slalom ma senza l’ossessione di inseguire la squadra C. Da 48 alla fine sono sceso a 20 punti, è andata bene e nel finale dell’inverno mi sono tolto soddisfazioni importanti come una medaglia ai tricolori di categoria e vittorie e podi nelle Fis. Ma essere qua ora è solo uno step verso altri obiettivi, la Coppa Europa prima e poi la Coppa del Mondo». Già, la Coppa del Mondo, la tappa finale del viaggio, l’obiettivo vero di Allegrini. Ma questa fermata del viaggio, questa promozione in azzurro è stata frutto di un impegno incrdibile, di una voglia pazzesca di emergere. Più forte di trasferte disumane, più forte della palese difficoltà di trasferirsi a studiare in Val Venosta nonostante sia stato sempre fiero della sua romanità, più forte di vivere da zingaro della neve. Un viaggio che ha avuto due figure importanti, cruciali, insostituibili.
ANDREA E GIUSEPPE – Andrea Truddaiu, l’allenatore di sempre che lo ha fatto maturare nel corso degli anni in forza allo sci club del Livata, il fedelissimo Andrea che lo accompagnato sempre anche quando è transitato nell’esperienza della SS Lazio e nei carabinieri. Quell’Andrea che oggigiorno ritrova in squadra nazionale per chiudere il cerchio di una storia a lieto fine. E poi papà Giuseppe che si era trasferito in Alto Adige per aiutarlo nella quotidianità oltre lo sci e che lo ha accompagnato in lungo e in largo fra Alpi e Appennini alle gare. Riccardo ha ripagato la fiducia incondizionata di Andrea e Giuseppe, ma non vuole certo fermarsi qua. «Il bello deve ancora arrivare», il motto dello slalomista romano.