Eravamo passati a trovarla anche in Ospedale, alla clinica Madonnina di Milano, nel dicembre 2013, dopo l’ennesimo infortunio al ginocchio, a pochi mesi dall’exploit iridato di Schladming, dove pur senza medaglia aveva incantato l’Italia con quel quarto posto in superG (il settimo in combinata) e il miglior intermedio a metà gara. Aveva 20 anni e sembrava lanciata verso una carriera luminosa, una consacrazione arrivata invece oggi, ma allora solo ipotizzabile, sognabile, sperabile. Poi, quel salto sbagliato a Lake Louise, l’atterraggio pesante, il movimento della gamba sinistra visto in mondovisione, il crack, il ritorno immediato in piedi per non agitare troppo i genitori davanti al video, a casa, e poi, il giorno dopo, in aereo, verso l’Italia con un ginocchio gonfio come un melone e il gesto indimenticabile di Dominique Gisin, che le strappò di mano il biglietto di seconda classe per regalarle quello della business class, suo, aggiungendo semplicemente: «Buon viaggio!» perché la classe è classe appunto, non solo in aereo, non solo in pista, a volte. Sono passati tre anni e tre mesi da quell’incontro in ospedale, dove comunque la luce sul suo volto non si era mai spenta: «Tornerò, più forte». Il peggio in realtà doveva ancora venire, nell’annata successiva, forse quella più difficile. Il ritorno lento, i risultati che non arrivano, i dolori che aumentano, le compagne di squadra a giocarsi (male) il Mondiale a Vail/Beaver Creek 2015, lei a meditare sul futuro, al caldo di Tenerife negli stessi giorni, con male alle ginocchia, sfiducia, tante domande sul futuro, i dubbi, le incertezze, dopo aver anche brillantemente commentato discesa e superG in televisione, durante i Giochi di Sochi 2014. Quelli vinti da Dominique Gisin, in discesa, ex aequo con Tina Maze, tu guarda il caso…
CARRIERA – Ecco, oggi il cerchio idealmente si è chiuso, anche se nuovi trionfi, magari più grandi, importanti e famosi, arriveranno in futuro, glielo auguriamo, e anche, di conseguenza, fama e ricchezza: nuovi sponsor sono già pronti a bussare alla sua porta. Sofia Goggia da Bergamo Alta, ‘Goggiona’ come ama autodefinirsi, ha rimesso a posto oggi i conti con il passato al termine di 28 gare disputate in una stagione 2016-2017 che non potrà dimenticare, anche se farà di meglio: due vittorie, dodici podi in quattro specialità, altre cinque top10, ben otto uscite (nove con la combinata iridata, ad alimentare qualche rimpianto), ma il bronzo iridato a St. Moritz in gigante, il podio finale nella classifica overall con record italiano di punti (1.117, non è finita) e podi (12) in una singola annata per una sciatrice italiana in Coppa del Mondo. Tanto basta per stappare una bottiglia di Moet&Chandon, ubriacarsi di gioia e non pensarci più. Una carriera rilanciata, anzi esplosa, di fatto iniziata realmente solo quest’anno, grazie anche al nuovo preparatore/fisioterapista Matteo Artina, dopo il rodaggio dell’annata 2015-2016. Una carriera ripresa con i capelli grazie magari all’aiuto di poche, ma fidate persone, e alla sua volontà di non spegnere mai un sogno che in fondo aveva sempre cullato, perché la fiducia in sé stessa non le è mai mancata: quello di diventare la migliore, un giorno, sugli sci. Non lo è ancora, non in senso assoluto almeno, potrebbe farcela già il prossimo anno, ma questi successi, anche se come ammonisce Ligabue, il meglio deve ancora venire, la ripagano dei sacrifici fatti per recuperare dopo quattro interventi alle ginocchia, delle tante ore passate con lo psicologo Vercelli e a faticare in palestra per raddrizzare fisico e carriera, e di tutte quelle domande che probabilmente hanno popolato la sua mente dal 2013 a oggi. Spazzate via nel giro di cinque mesi, sicuramente i più belli della sua vita sportiva, per ora. Altre celebrazioni si annunciano all’orizzonte, nuovi record da battere, coppe (quest’anno solo sfiorate) da alzare, ma oggi, finalmente, possiamo dirlo: Sofia, ne è valsa la pena. Continuare. O no?