MÉRIBEL – Mercoledì il superG, sabato la discesa. «È la settimana di Sofia Goggia» ha gridato lo speaker durante il superG della combinata. Quella prova che anche l’azzurra ha fatto, con il solo obiettivo di testare il pendio, di ritrovare le sensazioni, di vedere la linea del traguardo.
Sofia, come ci arrivi a questi Mondiali e come stai?
«È stato un mese di gennaio particolarmente difficile, non lo nego. Speravo di poter arrivare in modo più tranquillo e in una condizione migliore, però devo dire di essermi trovata bene, devo ritrovare le sensazioni e stare sui piedi».
Hai parlato di sensazioni. Ne hai trovata qualcuna dopo il superG della combinata?
«No, perché sono scesa con il 60 per cento di intensità e questa pista ne richiede invece molta di più. Ho fatto un giro con molta calma, ho sciato in piedi perché non avevo riferimenti. Non mi aspettavo nulla di particolare, se non quello che ho fatto: devo costruire tutto con la massima calma. Ho fatto tre cadute in un mese sopra ai cento chilometri orari».
Si sentono queste cadute?
«Eccome se si sentono, sia nel corpo, sia nell’anima, però questa è la condizione di partenza».
La mano?
«Va bene, non ho problemi e si sta sgonfiando».
È per questo motivo che non hai fatto lo slalom della combinata?
«Ho voluto provare la pista del superG prima di tutto, poi certo è da tempo che non faccio slalom, è già bello che in questi mesi sia riuscito a impugnare il bastone».
Come trovi la pista di Méribel?
«Molto esigente, richiede intensità e lucidità, ci sono tanti punti ciechi, è molto mossa e sono presenti anche diversi cambi di luce. La definisco una pista intensa».
Hai deciso di partire per Dubai, come mai questa scelta bizzarra?
«Non è bizzarra, era programmata da tempo perché volevamo fare una settimana di atletica in un posto al caldo, dopo aver preso freddo per tempo. Siamo stati in America un mese e mezzo, a meno venti-trenta gradi… Quindi non è stato bizzarro questo raduno al caldo, che poi al caldo non è stato perché ho preso pioggia».
Che settimana è stata?
«Complicata e di recupero, perché dopo Cortina d’Ampezzo ho dovuto lavorare molto con il fisioterapista».