Mauro Pini: «Al lavoro per creare un gruppo vero. Outsider, ma con ambizioni alte» 

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Ha lavorato con squadre clamorose e fuoriclasse assoluti, uomini e donne, gruppi enormi e team privati. Ha vinto tanto, dedicandosi qua e là anche all’azienda di famiglia, quando magari si è preso una pausa dal ruolo di allenatore. O, semplicemente, non ha trovato il progetto giusto per lui. E’ capitato. Ecco, questa volta il progetto l’ha stuzzicato subito. Lo diciamo sottovoce, ma Mauro Pini dal Canton Ticino, un uomo che fa dei valori autentici, magari anche antichi per carità, ma ancora di moda in un certo qual senso, un suo mantra, sembra la persona giusta al posto giusto. In passato svariati tecnici stranieri hanno fatto solo bene all’Italia maschile, basti pensare a Jean Vuarnet, che rilanciò completamente il nostro sci alpino a fine anni ’60, o a Jaques Theolier, che poi portò Giuliano Razzoli a conquistare il titolo olimpico in slalom nel 2010. Non sempre magari funzionano, ma spesso sì. E con Mauro, che ha guidato tra le altre anche una giovanissima Lara Gut, poi Tina Maze e Petra Vlhova (ancora campionessa olimpica in carica di slalom), abbiamo toccato tanti temi. Lui ha accettato la sfida. Senza tirarsi indietro. Mai. 

Mauro, è stata una lunga trattativa con la FISI?
«No, anzi, le cose sono andate piuttosto veloci al termine del rapporto di lavoro con il team di Petra Vlhova. Tutti speravamo di proseguire al massimo con lei per difendere il titolo olimpico conquistato a Beijing 2022, l’obiettivo era quello, condiviso. Purtroppo le cose sono andate diversamente, la sua situazione si è complicata a tal punto da mettere in dubbio anche un possibile ritorno e a un certo punto si è dovuto prendere una decisione, dopo un anno che il team era fermo. Eravamo arrivati già ad aprile, non si poteva continuare così e allora a malincuore siamo arrivati a una decisione. La maggior parte della squadre erano già organizzate in quel periodo. Devo dire che mi sono arrivate diverse offerte, alcune molto interessati, ma la proposta del’Italia è stata quella che da subito mi ha colpito di più. Ha stuzzicato la mia passione, acceso la fiamma. Non ho mai avuto dubbi». 

Mauro Pini qualche anno fa

Basta “team individuali”, si torna in squadra. Com’è? 
«Questa è stata una componente importante perché avevo proprio bisogno di… far parte di una squadra e non più… “essere una squadra”, se si può intuire la differenza. Mi mancava davvero. E ne sono molto felice». 

L’Italia maschile ha una tradizione clamorosa nelle discipline tecniche, ma non vince da un bel po’ tra gigante (2012) e slalom (2017). Questo aspetto non l’ha condizionata?
«Sa, per un allenatore non per forza questo deve essere lo stimolo più importante o, diciamo, la componente più importante. Se dovessi valutare sempre e solo il più bravo o la più brava che mi garantisce sicuramente il successo, sarei decisamente fuori luogo. A dire il vero non ho neanche pensato a questo aspetto. Ai miei occhi l’Italia è sempre stata una Nazione sciistica molto importante, l’ho sempre ammirata con occhi interessati. E c’era stato qualche contatto anche in passato, quasi 20 anni fa, ma non ha mai portato a nulla di concreto. Come allenatore consideravo e considero l’Italia una delle Nazioni faro. Per quello che ho potuto vedere in queste settimane, al di là dei risultati, i numeri legati agli atleti di alto livello non sono grandissimi, quello sì. Attualmente partiamo dunque come “underdog”, come outsider, ed è una posizione che ci va benissimo. Possiamo solo approfittarne per lavorare bene, sereni, ma con obiettivi ambiziosi. Questo sicuramente». 

Luca De Aliprandini
Luca De Aliprandini ©Agence Zoom

Dopo i primi giorni che sensazioni ha avuto?
«Il gruppo è fondamentale. Mi sono fatto l’idea che ci fosse veramente bisogno di trovare una persona in grado di lavorare su questo principio, cioè creare una squadra, un gruppo autentico per lavorare in serenità con un leader che poi guidi il team. Stiamo vedendo da diverso tempo come funzioni bene la squadra svizzera con i suoi campioni e i suoi “gregari”, definiamoli così, idem la Norvegia. E noi stiamo facendo un bello sforzo da questo punto di vista. E’ anche quello che mi è stato chiesto. E il gruppo lo sta facendo, alla grande. C’è una bella dinamica, energia, complicità. Speriamo che i risultati a cui vogliamo ambire arrivino per cementare poi questa dinamica e far sì che alla fine ogni atleta possa esprimersi al meglio». 

E a questo punto qualcuno potrebbe chiedere “ma come, non parliamo di uno sport individuale”?
«Sport individuale certamente sì, quando si è in partenza, davanti al cancelletto. Ma è il gruppo che ti porta in partenza con reali possibilità di vincere; ci vuole il gruppo, ci vuole dinamica di gruppo, sana complicità, sana rivalità: ci si spinge l’uno con l’altro per creare questo amalgama. Cerco energia positiva, è quella che poi fa emergere il singolo. Noi ci crediamo».

E poi serve talento. 
«E il talento c’è. Ma il talento lo sfrutti con il lavoro ed emerge con il lavoro. Da questo punto di vista devo dire che i ragazzi sono dei grandi lavoratori e sentono tanta voglia di competere. Si deve creare quell’energia fondamentale per poi arrivare in partenza con il mood giusto e a quel punto sarà il singolo che dovrà esprimersi nel  migliore dei modi». 

Alex Vinatzer
Alex Vinatzer ©Agence Zoom

Talento e leadership. Ci sono nel gruppo?
«Ci sono due nomi che al momento emergono sicuramente, quelli più indicati per il ruolo: da una parte Luca De Aliprandini, per la sua esperienza, ma anche per il suo curriculum. E’ quello che può parlare di medaglie o podi. Certo, potreste dirmi: però non ha mai vinto. Vero, ma è vicinissimo a fare questo passo, credetemi. Dall’altra parte c’è un atleta con 10 anni di meno, un potenziale enorme per tutte e due le discipline tecniche, Alex Vinatzer. Abbiamo due frecce al nostro arco, due leader sulla neve già ben presenti e definiti. E poi altri ancora un po’ nascosti, ma pronti a emergere, come Della Vite in gigante, Franzoni tra gigante e velocità, Tobias Kastlunger con già due top 10 in Coppa in slalom, punti anche in gigante, necessità solo di continuità, ci crediamo eccome in lui; e poi speriamo in qualche giovane che arrivi da sotto per aggiungere un po’ di “pepe” al tutto, con l’obiettivo di trovare qualificazioni e agguantare posti in più in Coppa del Mondo. Questo è fondamentale per creare il gruppo». 

Alex Vinatzer: che idea  si era fatto da fuori e ora, da dentro?
«Innanzitutto va detto che ha a disposizione un motore e un fisico bestiali. Vanno gestiti con delicatezza. Perché a volte il suo fisico può mettere in campo fin troppo per il nostro sport, in un momento in cui si parla di fluidità d’azione e leggerezza sulla neve. Stiamo lavorando proprio in questo senso, per pulire alcuni movimenti eccessivi che ogni tanto porta in pista e trovare una sciata più dolce. Certo non facile per lui, un po’ più in contatto con la neve, più fluida. E sono sicurissimo che possa trovarla, sia in gigante sia in slalom. Non ho nessun dubbio».

Ha lavorato con campioni e campionesse: quali le differenze?
«Da una parte con Cuche, Defago, Silvan Zurbriggen; dall’altra Tina Maze e Petra Vlhova, anche Lara Gut è vero, ma era ancora una ragazzina, pur dimostrando già le sue qualità. Sul lavoro quotidiano, come approccio, non c’è grande differenza. E’ il tuo modo di comunicare che deve cambiare. Le parole con le ragazze hanno un peso diverso, serve un po’ più di delicatezza. Con questo non voglio dire che con i maschi la comunicazione debba essere più rude, no, ma diversa. Anche se in questo senso con le nuove generazioni le differenze sono meno marcate. Fino a qualche hanno fa con i maschi era quasi un gioco quotidiano e con le ragazze serviva un linguaggio più profondo. Ora però anche con gli atleti ci vuole più delicatezza nella comunicazione, più coerenza; in altre parole, è difficile lavorare senza spiegazioni o lasciando che sia solo il cronometro a parlare. Al giorno d’oggi anche con i maschi serve un linguaggio che vada al di là della semplice battuta». 

Tina Maze
Tina Maze ©Agence Zoom

Tommaso Sala rientra da un infortunio. Come bisogna agire in questi casi? 
«Si trova nella situazione che ho già vissuto in buona parte due anni fa con Petra Vlhova, che era nelle stesse condizioni. Il ginocchio adesso ha reagito bene, Tommaso ha fatto un bello sforzo menale nei primi mesi sulla neve, il sesto e il settimo post infortunio sono quelli più cruciali. Si è aperto anche a un nuovo allenatore,  a nuove idee, a nuovi metodi di lavoro. Non era scontato. Sono molto soddisfatto di quel che ha fatto Tommy in quesi mesi. E’ in crescita, si stanno aprendo nuovi orizzonti e nuove opportunità per lui quando in passato magari ha avuto momenti di crisi o pensato pure “ma vale la pena continuare”? Lo vedo molto motivato, ha quella luce negli occhi che mi dice della sua voglia di tornare dov’era prima dell’infortunio». 

Tommaso Sala
Tommaso Sala ©Agence Zoom

Impossibile non chiederle come hanno vissuto i ragazzi la tragedia di Matteo Franzoso dall’Argentina e cosa si può fare sul tema sicurezza. 
«Io ero a Ushuaia: naturalmente è stata una notizia catastrofica sia per la nazione Italia, sia per me personalmente. Come allenatore sono stato molto vicino con il pensiero a tutti i colleghi azzurri. La tragedia mi ha fatto riflettere molto come tecnico, su come ci muoviamo ogni volta che andiamo sulla neve a preparare un allenamento. E’ durissima. Anche se eravamo molto distanti dal Cile, i compagni hanno sofferto tantissimo, ancora di più quelli vicini di età a Matteo. Sul tema sicurezza se ne parla da una vita. Ora non dobbiamo commettere l’errore di rientrare nella routine delle gare dimenticando quanto accaduto. Faremmo un grosso errore rischiando poi di pagarlo ancora duramente. Sicuramente dobbiamo fare qualcosa, dovevamo farlo prima, quello che posso dire però è che l’allenatore da solo non può risolvere i problemi. L’allenatore lavora con quello che ha a disposizione. Certo, può decidere che “oggi non si fa alleanemtno” perché mancano le condizioni, quello sì, ma la realtà rimane: da solo il tecnico non cambia le cose. Ci vuole una presa di coscienza vera da parte di tutti: di chi mette a disposizione le piste, delle Federazioni ecc. eccc. Serve un salto di qualità urgente e anche un cambio di mentalità».

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