L’ultimo superstite dello slalom italiano, l’ultimo atleta di quella squadra che nell’ultimo quindicennio (ma che ha posto le basi 20 anni con i trionfi di Giorgio Rocca) ha vinto e convinto. Stefano Gross, un indiano nella riserva dello slalom scomparso, ultimo pilastro di una compagine che ci ha fatto sognare. Da Giorgione a Manfred Moelgg, da Giuliano Razzoli a Cristian Deville fino a Patrick Thaler, che oggi già da solo farebbe gola a un team che può fare al momento solo affidamento su Vinatzer (che tuttavia solo in un’occasione è riuscito ad esprimersi). Stefano Gross è stato per parecchi anni uno degli slalomisti più forti al mondo. Ha vinto, è salito sul podio (11 volte), è stato regolare in top ten (circa 50). Negli ultimi anni ha lottato nella guerra delle porte stette, dove il livello è semplicemente stratosferico. Ma non si è dato mai per vinto il fassano, ha cercato di lavorare sodo con assoluta professionalità per stare il più davanti possibile. A tratti quest’anno c’è anche riuscito, ha dimostrato di essere un esempio per un team senza un’ anima. Tante gioie sicuramente, ma anche momenti difficili. Altare e polvere insomma. Sembra ieri quando saliva sul gradino più alto del podio ad Adelboden nel 2015, sembra ieri quando è rimasto nella notte olimpica russa appoggiato un’ora alle transenne dopo quel maledetto quarto posto nel 2014. Gross è piaciuto non solo come atleta, ma anche come uomo perchè stimato da tutti, considerato per la sua dedizione, preso ad esempio per non dare la colpa allo skiman o all’allenatore di turno ma sovente a se stesso quando le cose non giravano per il verso giusto. Non sarà stato il migliore, ma un campione, senza se e senza ma, sicuramente sì. Per anni ha primeggiato, cercando sempre di guardare oltre, cercando lo step successivo. Non si è mai accontentato, non si è mai seduto. Poteva continuare Sabo, come poteva continuare anche il Razzo nazionale. Questi ragazzi dobbiamo ringraziarli per quello che hanno fatto, altro che considerali vecchi e decrepiti e sperare che stiano a casa il prima possibile.

Ma eccolo il ladino di Poza quattro volte campione italiano assoluto: «Un grande viaggio, fantastico, unico. Lascio tuttavia non perchè non posso più dimostare il mio valore, ma perché in questo ambiente (il riferimento al team, non a via Piranesi n.d.r.), in questa situazione faccio fatica a riconoscermi, non mi trovo a mio agio. Il ricordo più bello? Il primo podio, Adelboden 2012 sul Chuonenisbargli. La pista mitica? La Planai di Schladming. Ho incontrato tanto compagni, allenatori, membri dello staff. Fra questi cito Giuseppe Bianchini, Luca Caselli e Jacques Theolier. Ho fatto parte di una grande squadra con cui ho condiviso successi, lascio a testa alta. Gareggerò ancora ai tricolori assoluti di slalom per difendere i colori delle Fiamme Gialle. Sì, ripensandoci, è stata un’esperienza fantastica la carriera agonistica». Ci mancherai Sabo, come se ci mancherai…
