Nel dopoguerra costruiva sci nell'Appennino marchigiano
Se gli avessero parlato di sciancrature, le avrebbe scambiate per parolacce. E le lamine? Mica gli sci ‘son coltellacci da cucina’. Sono due aste lunghe, con una coda e una punta. Così pensava il ‘giovanottone’ di Villagrande di Montecopiolo, Edo Bernacchioni, oggi imprenditore del mobile alle falde del monte Carpegna, ieri artigiano dello sci all’ombra della stazione sciistica dell’alto Montefeltro, nell’estremo lembo delle Marche. Cresciuto in uno dei primi impianti in Appennino, è un ‘museo vivente’ della storia di questo sport. Le sue mani hanno forgiato centinaia di paia di sci fino a metà anni Sessanta, quando a Carpegna si riversavano orde di turisti da ogni dove. Poi fu costretto a cedere il passo alle case produttrici. «Con gli sci Bernacchioni – racconta Edo, che ancora scia, va a caccia tra i suoi monti e viaggia in fuoristrada – hanno imparato a sciare Marche, Romagna e San Marino. Li acquistavano tutti: dal medico all’operaio. Ne facevo anche per bambini». Eccoglieli in pugno, minuziosamente piallati e conservati nel laboratorio odoroso di faggio. «Il legno che usavo era quello del Carpegna: faggio od orniello. Le racchette erano in frassino, anche questo autoctono». L’unica ‘roba’ di importazione sono gli attacchi, ma solo quelli degli anni Cinquanta, con la ganascia. «Prima rimediavo io». I primi sci Bernacchioni risalgono al ’40. «Avevo imparato, osservando per filo e per segno quelli che il fascio spediva nei comuni montani: c’era la punta, c’era la coda ed erano piatti. Presto fatto: io mi mettevo e imitavo la struttura. Solo dopo mi sono specializzato». Col boom economico, gli sciatori invadevano Carpegna e Montecopiolo. Decine e decine le corriere. Ci pensava Bernacchioni a ‘sfamare’ tutta quella voglia di sci. Poi venne il diluvio delle offerte dolomitiche e anche la neve cominciò a voltare le spalle al Carpegna. Meno gente, meno mercato ma il negozio di Edo, anche senza sci in legno, viaggiava ad alte quote. Oggi è rimasto una specie di vecchio cinema Paradiso, coi pionieristici arnesi di Edo, qualche vecchio modello in legno tarlato di passione e persino qualche ardita foto vintage degli anni Ottanta, con un sorridente Frank Piccard. Il ‘tagliasci del Montefeltro’, invece, non è cambiato. Sfrega il faggio dei suoi manufatti e li ripone nel cantuccio dei ricordi. Quasi incredulo che a qualcuno, ancora, interessino.