Tanta neve, attenzione!

I consigli di uno dei principali esperti di nivologia

La dinamica di formazione del manto nevoso che attualmente ricopre le Alpi è passata attraverso tre fasi principali:
1ª fase: fine ottobre-primi di novembre: prime consistenti precipitazioni nevose sino alla quota di circa 1.000 m; nei giorni successivi il limite della copertura nevosa si è alzato sino ai 2.000 m, le basse temperature hanno avviato un processo di ristrutturazione dei cristalli, con formazione di strati di neve a debole coesione (brina di profondità).
2ª fase: alla fine di novembre sono riprese le precipitazioni nevose, che hanno apportano un incremento di circa 100 cm alle quote superiori ai 2.000 m. Al termine delle precipitazioni la temperatura dell’atmosfera si è fortemente abbassata, per cui il processo di formazione di strati di neve a debole coesione è ripreso, Nel frattempo, si sono attivati forti venti in quota, che hanno rimaneggiato la distribuzione del manto nevoso, con formazione di consistenti depositi eolici nelle zone sottovento. Nella prima decade del mese di dicembre la stabilità del manto nevoso era decisamente scarsa
l’episodio del Monte Granero, con quattro morti per valanga, ne ha dato tragica conferma.
3ª fase: a partire dal 10 dicembre sono riprese le precipitazioni nevose, che sono proseguite senza interruzione sino al 15; inizialmente di modesta consistenza (da 20 a 30 cm/24 h) hanno permesso un discreto assestamento degli strati dei livelli superiori, ma il 15 dicembre l’intensità delle precipitazioni è aumentata e, su tutto l’arco alpino, si sono registrati oltre 100 cm/24 h, anche alle quote di 1.000 m. Solo le Alpi Cozie, l’Alta Valtellina e le Dolomiti Orientali hanno ricevuto una minor quantità di neve fresca.
In quota si sono registrati venti di media intensità dai quadranti meridionali, cioè dalla stessa direzione di provenienza delle perturbazioni.

Situazione –  Uno spesso strato di neve fresca trova appoggio su strati di neve a debole coesione e, localmente, su depositi eolici (lastroni) che, a causa della incostante direzione di provenienza dei venti, sono distribuiti irregolarmente sui versanti. Il rialzo delle temperature verificatosi il giorno 15 ha trasformato la forma delle precipitazioni che, alle quote inferiori ai 2.000 m, sono ora diventate pioggia o un misto di pioggia-neve.

Stabilità – 
Con eccezione delle Alpi Lombarde, in cui il rischio è valutato sul livello 3. sul restante arco alpino il rischio è valutato a livello 4 mentre per le Alpi Liguri e Marittime, la Valle d’Aosta e le Alpi Pennine (Gruppo Cervino – Rosa) è valutato al livello 5, cioè al livello più elevato. Dove si verificano, le precipitazioni piovose o miste pioggia-neve peggiorano le condizioni di instabilità. Solo un prolungato ritorno a condizioni di temperature inferiori a 0 °C potrà consolidare gli strati superficiali del manto nevoso e migliorarne le condizioni di stabilità.

Consigli – Su tutto l’arco alpino il livello di rischio varia da forte a molto forte.
Solo sulle Alpi lombarde il rischio è a livello 3, ma è bene che tutti noi ci si ricordi che l’aggettivo che accompagna questo livello della scala del rischio non è medio, ma marcato, che può essere espresso anche con i sinonimi accentuato, evidente, sottolineato.
Già al livello 3. le indicazioni che accompagnano la scala europea del rischio valanghe dicono che è richiesta una buona capacità di valutazione locale. Evitiamo il peccato di presunzione: a detta degli amici, i quattro morti del Monte Granero erano esperti di montagna, ma la valanga non lo sapeva.

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